
L’Europarlamento approva la proroga di 18 mesi per i Pnrr, ma l’Italia vota divisa

Con 421 voti favorevoli, 180 contrari e 55 astensioni, la plenaria dell’Europarlamento ha approvato ieri una proroga di 18 mesi per i Dispositivi per la ripresa e la resilienza (Rrf) post Covid-19, ovvero i vari Pnrr degli Stati membri, per i quali a oggi la scadenza è fissata al 2026.
Il Parlamento europeo esprime infatti «preoccupazione per i tempi ristretti» per l’attuazione dei fondi rimanenti, che mettono a rischio il completamento delle riforme e dei progetti previsti, ovvero «il raggiungimento del 70% di obiettivi ancora pendenti». A fine 2024 solo il 28% delle pietre miliari e degli obiettivi dei vari Pnrr era stato pienamente realizzato: in altre parole restano ad oggi 335 miliardi di euro da spendere su 650 complessivi.
«L'attuazione è in ritardo – conferma il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto – Nel complesso, il 51% dei fondi impegnati nell'Rrf deve ancora essere erogato e il 68% delle tappe e degli obiettivi deve ancora essere valutato come raggiunto». L’Europarlamento chiede dunque alla Commissione di istituire nuovi programmi, flessibili e in grado di adattarsi ai cambiamenti garantendo al contempo prevedibilità.
«Se non agiamo ora, gli investimenti cruciali rischiano di rimanere incompiuti dopo la fine del dispositivo nell’agosto 2026», afferma il correlatore Victor Negrescu, impattando in profondità sulle possibilità di sviluppo del Vecchio continente, dato che si stima come gli effetti sul Pil dei fondi Pnrr valgano da tre a sei volte le risorse spese: «Dobbiamo accelerare l’attuazione, ridurre la burocrazia e sostenere i beneficiari. In qualità di relatore per i bilanci su questo dossier, ho promosso soluzioni concrete e chiesto una proroga di 18 mesi dei finanziamenti per i progetti maturi. Ho anche chiesto che i progetti incompiuti possano proseguire tramite altri strumenti dell’Ue, come i fondi di coesione, InvestEu o un futuro fondo per la competitività, e che agli Stati membri sia consentito adattare più rapidamente e facilmente i propri piani nazionali di ripresa e resilienza».
Più nel dettaglio, la risoluzione non legislativa adottata dall’Europarlamento prevede di destinare gli investimenti a difesa, educazione, energia e infrastrutture transfrontaliere (come le ferrovie ad alta velocità) e di accelerare quelli riguardanti la protezione sociale e l’inclusione dei gruppi vulnerabili, oltre a chiedere agli Stati membri di rivedere i propri Pnrr sfruttando il piano RePowerEu per rafforzare l’autonomia energetica dell’Ue.
L’Italia si è presentata divisa di fronte alle priorità di spesa su cui ri-orientare i fondi Pnrr ancora pendenti, in particolare per quanto riguarda l’impiego sulla difesa. Le forze politiche che sostengono la maggioranza Meloni sono andate in ordine sparso – Forza Italia (Ppe) e Fratelli d’Italia (Ecr) hanno votato a favore, mentre la Lega (Pfe) si è astenuta –, così come le forze d’opposizione: contro i Verdi (Greens/Efa) e Sinistra italiana (The Left/Gue), mentre il Pd (S&D) ha votato a favore.
«Il Parlamento europeo ha votato la proroga dei termini del Pnrr di 18 mesi per consentire la realizzazione delle opere pubbliche avviate senza perdere soldi, che altrimenti gli Stati potrebbero usare per le spese militari. Un grande risultato che la Commissione deve accogliere senza furbizie», commenta nel merito l’eurodeputato fiorentino Dario Nardella. Ma al momento la Commissione, rappresentata da Fitto, non sembra dello stesso avviso: «La Commissione esorta gli Stati membri a rivedere i loro piani il prima possibile, al fine di mantenere solo le misure che possono essere attuate entro la fine di agosto 2026. Le misure che non possono essere attuate dovrebbero essere sostituite».
Sullo sfondo resta il deprimente stato d’applicazione del Piano italiano, che proprio Fitto era stato chiamato a gestire in qualità di ministro per il Pnrr. Anche l’Italia – il Paese che più di ogni altro ha beneficiato dei fondi europei, con 194,4 miliardi di euro – deve ancora spendere il 70% delle risorse, inizialmente stanziate per sostenere la transizione ecologica e digitale, col ministero dell’Ambiente fermo a 16 miliardi di euro spesi sui 33,7 assegnati al dicastero.
