
Sequestrati tre traghetti alla Compagnia italiana di navigazione (Cin), sospetti anche sull’inquinamento atmosferico

Nei giorni scorsi il Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di finanza di Genova ha sequestrato tre traghetti – come equivalente di 64,3 mln di euro – alla Compagnia italiana di navigazione (Cin), ex Tirrenia, con l'ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture nell'ambito del trasporto marittimo. Che cosa è successo?
Partiamo dalla nota emessa proprio dalla Cin: “Apprendiamo con stupore delle richieste di misura cautelare e di un provvedimento di sequestro provenienti dall’Autorità Giudiziaria genovese, che arrivano a valle di un’indagine avviata da più di un anno, nel corso della quale la Compagnia si è rapportata agli organi inquirenti in termini di indiscutibile trasparenza e massima collaborazione. La Compagnia ha affrontato spese rilevantissime per assecondare tutti i dubbi e le contestazioni formulate dall’ufficio di Procura in merito alla conformità delle proprie motonavi alla disciplina internazionale in materia di inquinamento, pur non condividendoli. Proprio per questi motivi oggi si fatica a comprendere quali siano le ragioni che hanno spinto alla richiesta e all’emissione di tali misure cautelari”. In effetti, si fa fatica a capire quali siano stati i motivi che hanno spinto l’Autorità giudiziaria di Genova a adottare un provvedimento di tale portata.
Fonti aperte, genericamente, riportano che gli inquirenti genovesi hanno contestato alla Cin il fatto che, nell’esecuzione del contratto, ha impiegato alcune navi della propria flotta prive dei requisiti previsti dalla normativa internazionale in materia ambientale; in particolare, è stato individuato che alcuni componenti dei motori principali e dei diesel generatori di corrente, si sospetta, siano stati manomessi, alterati o sostituiti con pezzi di ricambio non originali, pertanto, non conformi alla vigente normativa.
Per tali motivi, riteniamo plausibile ipotizzare che queste operazioni siano state ritenute di natura fraudolenta e state, tramite attestazioni non rispondenti al vero, riportate sui documenti in possesso delle navi. Se gli inquirenti dovessero confermare queste mere ipotesi che, naturalmente, dovranno essere dimostrate one by one, i motori di bordo, in difformità all’Annex VI della Marpol, sono stati manutenuti, invece, con pezzi di ricambio non certificati e surrettiziamente inseriti nel “technical file”; occorrerà, inoltre, stabilire anche il ruolo svolto dall’organismo di classifica, in questo caso il Rina, nelle verifiche effettuate prima di rinnovare la relativa certificazione rilasciata, poi, dall’amministrazione di bandiera: Eiapp (Prevenzione internazionale dell'inquinamento atmosferico).
Nel quadro delle contestazioni rivolte alla Cin si inserirebbe anche l’inquinamento atmosferico, quale logica conseguenza della contraffazione dei pezzi di ricambio (testate, camicie, pistoni) prive del numero Imo che ne attesta la corretta provenienza. Per tale motivo, sempre in ipotesi, le condizioni di taratura dei motori potrebbero essere state effettuate in modo non ottimale e, in ragione di ciò, le emissioni di gas sera e inquinanti potrebbero essere state effettuate superando i limiti previsti dalla normativa attuale.
Ripetiamo ancora, siamo nel campo delle ipotesi, attendiamo con attenzione l’esito dell’inchiesta ancora in corso. Resta comunque tanta perplessità nell’apprendere che, in concomitanza con la chiusura dell’83° Mepc dell’Imo di Londra (4-11 aprile), nel quale si è finalmente delineata la concreta riduzione dei gas prodotti dai motori marini fino ad immaginare una completa decarbonizzazione delle emissioni dovute ai motori endotermici delle navi, nel nostro Paese – che è tra i più importanti membri contributori dell’Imo e che possiede una flotta mercantile di primissima grandezza – una società di navigazione pubblica come Cin possa essere anche solo adombrata da un sospetto del genere.
