Quale futuro per il lago di Massaciuccoli, sopra e sotto la superficie
Nei giorni scorsi si è svolto a Lucca l’ormai consueto Pianeta Terra Festival, evento ormai giunto alla quarta edizione, dedicato quest’anno ai sistemi instabili. Forse non è un caso che tra i numerosi e variegati argomenti affrontati durante la kermesse scientifica sia stato dedicato uno spazio, seppur minimo, al futuro del lago di Massaciuccoli, proponendo la sua tutela e valorizzazione attraverso una governance pubblico-privata.
Oggetto di un Contratto di lago dedicatogli alcuni anni fa, la zona umida del Massaciuccoli è senz’altro una delle maggiori attrattive del Parco Naturale Regionale che ne prende in parte il nome. Inserito a tutti gli effetti nelle aree Ramsar, il lago è coinvolto, ormai da moltissimi anni, in una serie di problematiche che ne hanno minato la stabilità ecologica. Per tale motivo è stato studiato nei suoi aspetti chimici, fisici e biologici nel corso dei decenni e molte sono state le promesse per un suo risanamento. Durante l’evento lucchese si è fatto cenno ai problemi ambientali a cui il lago andrà incontro nell’imminente futuro ma, soprattutto, si sono enfatizzati gli aspetti legati al paesaggio e ai punti focali di valore storico e culturale. Da essi origina il fascino che affonda le sue radici nel passato, quando personaggi famosi si erano avvicinati al lago per trarne ispirazione e per godere appieno della pace e delle ricchezze che offriva. Lo scenario che si presenta oggi esercita ancora sul visitatore una forte attrattiva, sebbene uno sguardo attento riesca a cogliere evidenti segni di una consistente pressione antropica, passata e presente. Il lago riesce ancora a trasmettere emozioni inattese, talmente forti da stimolare la fantasia di chi vi intravede buone opportunità per rendere fruibili le sue bellezze, attraverso soluzioni moderne e sostenibili.
Tutto questo finché ci si limita a fissare lo sguardo sopra la superficie delle acque che ne bagnano le rive. Osservando la realtà che si manifesta appena poco sotto di essa, si iniziano a percepire gli effetti del degrado causato da una gestione disattenta, tra cui la totale scomparsa di visibilità dell’habitat acquatico. L’elevata torbidità, che rende le acque quasi impenetrabili alla luce, tende ad aumentare appena la superficie del lago è mossa da venti di forte intensità. È allora che le onde schiumano una bava giallastra intrisa di alghe microscopiche. Tale fenomeno è dovuto alla scomparsa della vegetazione acquatica che tappezzava il fondo dell’intero specchio quando, nella prima metà dello scorso secolo, attraeva acquatici a migliaia, come le folaghe, preda ambita di illustri cacciatori. La vegetazione che tappezzava il fondo, oltre ad attirare stormi di volatili, tratteneva il sedimento fangoso, impedendone la libera circolazione e mantenendo così la massima limpidezza. Un sedimento oggi prodotto dal metabolismo delle microalghe che, favorite dall’eutrofizzazione, hanno preso il posto di quella vegetazione, ma soprattutto originato da una agricoltura ormai meccanizzata.
L’uso di moderni mezzi, infatti, durante il lavoro nei campi ha accentuato il dilavamento fangoso che, per la totale mancanza di vegetazione lungo le scoline, viene veicolato fino alle acque del lago. L’eccesso di trasporto solido provoca nel bacino un progressivo interrimento che, insieme alla subsidenza dei terreni bonificati, giuoca un ruolo determinante nella stabilità degli argini che lo delimitano, soggetti ad assidua manutenzione, pena il rischio di esondazione.
L’eutrofizzazione delle acque ha favorito sin dagli anni ’70 la comparsa di alghe tossiche in grado di provocare periodiche morie di fauna ittica e, successivamente, di cianobatteri produttori di tossine dannose anche per l’uomo. Entrambe implicano l’adozione di provvedimenti sanitari tali da sconsigliare l’utilizzo alimentare di prodotti ittici provenienti dal lago e la balneazione.
A nord del lago si incontra la distesa dei canneti dove risaltano i chiari, specchi d’acqua limpidi e poco profondi, e le cave, residuo dell’intensa attività di escavazione delle sabbie silicee terminata negli anni ’90. Queste, profonde oltre la decina di metri, sono vere e proprie trappole per l’acqua salata che periodicamente entra dal mare per non farvi più ritorno, nemmeno con le piogge invernali, quando il deflusso prevalente ne favorirebbe la fuoriuscita. La salinità rilevata negli strati più profondi delle cave, impedisce l’insediamento di qualsiasi forma di vita diversa dai batteri, dando origine a un habitat, che si discosta in modo significativo dai caratteri tipici di una zona umida.
In seguito ad azioni effettuate più o meno consapevolmente dall’uomo, le invasioni biologiche, ormai da tempo ritenute una delle principali cause del declino della biodiversità, non hanno risparmiato le acque del lago di Massaciuccoli. La comunità ittica, in particolare, è stata interessata dall’introduzione di specie invasive come il persico trota (Micropterus salmoides), immesso negli anni ‘70 o il siluro (Silurus glanis), una delle più recenti introduzioni, ormai naturalizzate e in grado di contrastare e far estinguere le componenti autoctone della comunità acquatica.
Insomma l’idea di proporre nuovi progetti per la valorizzazione e la tutela del lago di Massaciuccoli e del suo comprensorio umido è senz’altro apprezzabile, purché non si commettano gli errori fatti in passato. Le scelte per un serio ripristino della zona umida dovrebbero scaturire da attente riflessioni per orientarsi verso obbiettivi di riferimento certi, senza rendere preponderante il peso degli aspetti socio economici sull’esigenza di ripristinare condizioni ecologiche, funzionali alla vera natura dei luoghi.