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Intervista a Matteo Rensi, presidente dell’Associazione Cacciatori Trentini – ACT

«L'inserimento del lupo tra le specie cacciabili? Come cacciatori vediamo più opportuno lo strumento del controllo»

«La componente venatoria ha senza accolto con favore il declassamento del lupo, ma siamo contrari a un via libera ad abbattimenti indiscriminati. Per una gestione rigorosa della specie serve un approccio scientifico»
 |  Interviste

La presenza di lupo e orso come dato strutturale, l’avanzata del bosco e le conseguenze sulle specie di ecotono, le specie aliene e le migrazioni altitudinali e latitudinali. Sono solo alcuni esempi delle sfide ambientali che, anche sulle Alpi, siamo costretti ad affrontare ora che alle spinte “sociali” – abbandono delle terre alte, overtourism, globalizzazione… – si accompagnano dinamiche climatiche dagli esiti difficilmente prevedibili. Quel che sappiamo è che l’epoca della stabilità è finita e il futuro, anzi il presente, è già saturo di situazioni nuove.

Cosa ne pensano i portatori di interesse di questi nuovi scenari? Meglio rimanere saldamente ancorati alle tradizioni di pratiche secolari o più saggio trovare nuovi paradigmi? Ne abbiamo parlato con Matteo Rensi, neoeletto presidente dell’Associazione Cacciatori Trentini – ACT che, forte dei seimila soci suddivisi in 209 riserve di caccia e 20 distretti, è la maggiore organizzazione venatoria provinciale, nonché ente gestore della caccia del Trentino.

Intervista

Presidente Rensi, innanzitutto una domanda generale per inquadrare il contesto. Lei ha assunto la guida dell’ACT nel marzo scorso: che associazione eredita? E, di conseguenza, la sua Giunta esecutiva si muoverà in continuità con quella precedente o ci saranno elementi di discontinuità?

Premetto che io sono stato vicepresidente dell’ACT per dieci anni e, quindi, pur avendo attraversato due periodi quinquennali ben distinti, ero presente anche nelle passate gestioni. A fronte di questo, voglio ispirare il mio mandato al dialogo, al confronto, alla volontà di riannodare il filo tra amministratori e periferie, con le consulte, le riserve, per cercare di capire in modo capillare quali sono le esigenze dei diversi territori. Uno dei primi punti che ho voluto mettere in campo una volta nominato presidente è stato proprio quello di avviare degli incontri a favore di soci e direttori, per far emergere problematiche, suggerimenti, criticità, tematiche.

Visto che sta investendo tempo in questa fase di ascolto, entriamo dritti nell’argomento che più ci interessa: in questo sforzo di ricerca di un contatto col territorio, quanto è presente il tema dei grandi carnivori?

Il tema dell’orso è direi abbastanza marginale: è vissuto dalla componente venatoria senza grandi differenze rispetto al resto della cittadinanza, e in modo circoscritto più che altro al Trentino occidentale, dove la specie è presente. Il lupo, al contrario, è senza dubbio un argomento che scatena un dibattito più acceso anche a livello venatorio perché, in modo magari non del tutto corretto, viene considerato come un competitore diretto dei cacciatori.

Partiamo dall’orso: la sensazione è che il dibattito trentino sui plantigradi sia ormai monopolizzato da pochi soggetti con una polarizzazione delle posizioni che nega ogni forma di dialogo e che non produce nulla in termini di proposte gestionali coerenti con il contesto normativo attuale. Come se ne esce? E l’ACT come si pone, in questo contesto?

Non è semplice, in assoluto, e dunque non è semplice neppure per noi, come ACT. Ci sono sensibilità diverse, posizioni individuali che prescindono dall’appartenenza al mondo venatorio e che emergono più nettamente dove la presenza dei plantigradi è stabile e consolidata. A livello personale credo che la convivenza sia una sfida difficilissima e che la maggior parte delle persone sia oggi fortemente a disagio, come hanno dimostrato anche le consultazioni elettorali che si sono tenute nei mesi scorsi. Personalmente ritengo che si dovrebbe intervenire, soprattutto dove i centri abitati insistono nel cuore delle zone più frequentate dall’orso, con il bosco sulla porta di casa. bosco. Attenzione però: con questo non intendo dire che il mondo venatorio chieda quote di prelievo o cose del genere. Al contrario, devo ammettere che in questo momento l’ACT non ha alcuna soluzione in tasca e ben poco da proporre.

Rimaniamo sui grandi carnivori spostandoci però sul lupo: cosa pensa il mondo venatorio trentino del recente declassamento della specie in seno alla Direttiva Habitat?

La componente venatoria ha senza dubbio accolto con favore il declassamento del lupo. Ora bisognerà vedere che tipo di normativa verrà realizzata a livello nazionale, e di conseguenza quali opportunità verranno date alle regioni (e alle province autonome che si muoveranno certamente con maggiore libertà), ma di certo siamo contrari al fatto che ci possa essere un via libera ad abbattimenti indiscriminati. Bisogna mettere sul tavolo serietà e responsabilità: il ritorno del lupo ci pone di fronte a situazioni nuove e noi, per capire il da farsi, dobbiamo raccogliere informazioni, per legare la gestione ai dati. Ci sono diversi studi che dimostrano che prelevare il lupo “sbagliato” rischia di creare molti più danni rispetto ad un intervento mirato e preciso: però un intervento mirato e preciso non può essere messo in campo se non conosciamo a fondo quel determinato branco a cui l’esemplare appartiene. Tradotto: per una gestione rigorosa della specie serve un approccio scientifico.

Cosa intende per approccio scientifico?

Serve studiare di più, avere più dati per capire in che direzione muoverci. A quel punto, però, deve saltare anche il tetto dei  3-5 esemplari indicati da Ispra come numero massimo prelevabile per il Trentino. Quelli sono numeri che non spostano di una virgola gli equilibri, visto che sono pari agli esemplari investiti in tre mesi sul territorio provinciale.

Nello specifico, inserimento del lupo tra le specie cacciabili o semplice controllo?

Dato il contesto, come cacciatori vediamo più opportuno lo strumento del controllo, eventualmente con la componente venatoria formata ad hoc e poi impegnata in prima persona, come accade in Austria o in Francia.

Controllo invece che prelievo venatorio: una visione in linea con tanti altri attori del mondo venatorio, come Federcaccia o la FACE, la Federazione delle Associazioni Venatorie Europee [di cui parliamo qui]. Proprio quest’ultima associazione in sede UE collabora con la Unione Internazionale per la Conservazione della Natura – IUCN, con il WWF internazionale, con la Large Carnivore Initiative for Europe – LCIE, ossia con un tessuto composito di enti, istituzioni, soggetti che a titolo diverso si occupano di lupo e orso. Per riprendere il discorso di prima, come mai questa sinergia non funziona in Trentino, dove i blocchi restano contrapposti e i rapporti tra mondo venatorio e mondo ambientalista – anche quello più moderato e ragionevole, come il CAI o la SAT – sono pochi o nulli?

Credo che la differenza la facciano le persone. Soprattutto la disponibilità delle stesse all’apertura al dialogo, anche su posizioni e idee diverse. È logico che noi, di fronte a preconcetti ideologici di contrasto radicale all’attività venatoria, facciamo fatica a rapportarci. Diverso è il discorso con altri tipi di associazioni, laddove esista la consapevolezza dell’importanza della gestione venatoria all’interno del territorio. A livello locale, per esempio, ci sono state delle prese di posizione critiche – per esempio legate alla bozza di Piano faunistico provinciale e al prelievo del forcello – che ci hanno francamente sorpreso. Noi siamo certamente mossi anche da un interesse strettamente venatorio e quindi finalizzato al prelievo, ma non va dimenticato che da parte nostra, come cacciatori trentini, c’è anche un forte impegno nel mantenimento del territorio e degli habitat favorevoli alle specie più fragili, come i tetraonidi, con investimenti di diverse centinaia di migliaia di euro in quelli che sono miglioramenti ambientali importanti.

A proposito di nuovo Piano Faunistico, uno dei punti di frizione riguarda l’attività di foraggiamento, e questo direttamente per quanto riguarda le interazioni negative con l’orso, e indirettamente per quanto riguarda il lupo, viste le concentrazioni di ungulati attorno ai punti di alimentazione. Lei cosa risponde? Esistono delle linee guida ACT a questo proposito?

Non abbiamo delle vere linee guida, fatto salvo quanto previsto dalla disciplina di controllo del cinghiale. Credo che, come tutti i passaggi che richiedono conoscenza e passaggio di informazioni, la consapevolezza che sia fortemente sconsigliato foraggiare là dove vi sia la presenza di grandi carnivori sia ormai patrimonio condiviso. Poi, ovviamente, siamo in 6000 e non si può sempre controllare tutto. O convincere tutti.

Torniamo un momento al tema lupo e specie preda: si diceva che una parte dei vostri associati vede il lupo come un competitore in grado di incidere considerevolmente sulle consistenze degli ungulati selvatici. Una analisi sotto il profilo tecnico la riportiamo qui ma a livello di Associazione, cosa ne pensate?

Proprio per la responsabilità che abbiamo come ente gestore vorremmo giocare a carte scoperte, con la massima trasparenza, evitando di nascondere sotto al tappeto la reale incidenza del lupo. Ci sono prove inconfutabili dell’impatto della sua attività di predazione, come il quasi azzeramento del muflone sul territorio provinciale e l’incidenza sul cervo, in modo prevalente sulla componente femminile e sui piccoli. Anche in questo caso ci basiamo sui dati – i censimenti primaverili al cervo sono appena terminati – e, se qualche anno fa si registrava una diminuzione non allarmante (pari al 2-3% della consistenza del cervo sul territorio provinciale), oggi in alcune zone come le Giudicarie registriamo un calo del cervo del 30%, con una incidenza dell’80% sulla classe dei piccoli. Con ciò non voglio dire che sia tutta colpa del lupo, ma ancora una volta basandoci sui dati, riteniamo opportuno che i piani di prelievo ne tengano conto!

Per inciso, va ricordato però che il muflone non è una specie autoctona e che il prelievo massiccio del lupo su questa specie potrebbe quasi rispondere ad un principio riparatorio rispetto ad errori fatti nei decenni passati…

Tutto vero, ma la realtà è che la comunità dei cacciatori trentini, in generale, vive la rarefazione del muflone come la perdita di una risorsa venatoria. Si tratta di una specie che in alcuni ambiti – non in tutti – è stata oggetto per anni di piani di prelievo, e che oggi è quasi scomparsa.

Un’ultima domanda: la storia dell’ACT passa negli anni attraverso una collaborazione con enti di ricerca e gestione, dai guardacaccia impegnati nei monitoraggi del LIFE Ursus alla stewardship nel progetto WolfAlps. Proprio la stewardship, anzi, ha permesso lo studio pilota volto a indagare le dinamiche di frequentazione e predazione presso i siti di foraggiamento artificiale per ungulati da parte del lupo in Val di Fassa. Sarà ancora così? Proseguirete su questa strada?

Certamente sì. Sono fermamente convinto che sia più importante essere coinvolti che rimanere alla finestra. Saranno decisioni collegiali della Giunta, ma se nel passato è stata delineata una strada di collaborazione, per esempio col Muse, non vedo elementi per fermare questo tipo di collaborazione. Anzi, vi anticipo che è stiamo ragionando su una collaborazione proprio col Parco Adamello Brenta, coinvolgendo anche direttamente gli associati nella raccolta dati.

Redazione Greenreport

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