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Intervista a Giovanni Vetritto, responsabile del progetto Italiae

Green community e Unioni di Comuni, la transizione ecologica dei borghi italiani passa dall’associazionismo

Per lo sviluppo degli impianti rinnovabili «serve un numero più ridotto di uffici tecnici dotati di effettiva capacità amministrativa, condivisi fra più enti locali, superando l'antica autoreferenzialità dei singoli campanili»
 |  Interviste

Italiae è un progetto del dipartimento per gli Affari regionali della presidenza del Consiglio dei ministri, nato per supportare la riorganizzazione del governo dei territori sulla base della cooperazione di enti locali, volta a perseguire più alti livelli di sviluppo economico e inclusione sociale. A che punto siamo? Ne abbiamo parlato con Giovanni Vetritto, direttore generale del dipartimento e responsabile del progetto Italiae.

Intervista

Com’è cambiato nel corso degli anni il progetto Italiae e quali sono i principali risultati conseguiti finora?

«Il progetto Italiae, in coerenza con un impegno che l'Italia ha preso con l'Unione europea nell'accordo di partenariato dei fondi strutturali, lavora sin dall'inizio per favorire processi di cooperazione intercomunale stabili e strutturati, secondo il modello dell'unione dei comuni da Testo unico degli enti locali. In questi anni sono molte decine le realtà comunali e associative che hanno usufruito dei servizi del progetto per migliorare la loro performance amministrativa, ed altrettante quelle che si sono strutturate da zero o quasi da zero grazie al supporto del progetto stesso. In un contesto di sempre maggiore consapevolezza, in tutte le regioni, in merito alla necessità di aggregare le più importanti funzioni di governo del territorio a livelli di minima efficienza scalare, Italiae ha certamente svolto un ruolo nella crescita dei fenomeni associativi in Italia».

L’Italia è composta per il 70% da piccoli Comuni sotto i 5.000 abitanti: cosa serve davvero per tenere vive queste comunità locali?

«Quella del policentrismo e della frammentazione istituzionale del tessuto comunale non è una caratteristica solo italiana, ma ci rende molto simili ad altri paesi europei come la Germania e la Francia. Questi ultimi paesi hanno però adottato ormai da anni regole istituzionali che favoriscono, e in molti casi obbligano, processi associativi, a valle dei quali certamente migliora la qualità dei servizi ai cittadini e la capacità degli enti locali di sostenere concrete dinamiche di sviluppo locale. Difficile immaginare soluzioni diverse da questa per migliorare la governance del territorio».

Oltre un terzo (35%) di queste piccole Amministrazioni fa parte di Unioni di Comuni, coinvolgendo circa 3,5 milioni di persone. Ci sono ulteriori margini di sviluppo per efficientare processi amministrativi e servizi pubblici locali?

«I margini ci sono tutti. Le unioni di comuni sono ancora troppo poche e molto spesso troppo piccole. Occorre uno sforzo coordinato tra Stato, regioni e realtà associative degli enti locali per utilizzare di più e meglio lo strumento della cooperazione intercomunale. Non si tratta tanto, a mio avviso, di introdurre vincoli, quanto di sostenere concretamente le diverse realtà territoriali in complesse operazioni di change management e di riorientamento strategico per le quali molto spesso in loco non esistono né le conoscenze né le competenze».

Lungo lo Stivale si stanno sviluppando le Green community, per favorire lo sviluppo di comunità locali coordinate e associate tra loro che vogliono realizzare insieme piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale. A che punto siamo?

«I casi di green community ambiziose e performanti si stanno moltiplicando in quasi tutte le regioni. Il dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie ha sostenuto la nascita di molte di queste, anche con una misura Pnrr da 135 milioni di euro. Molte regioni stanno usando bene anche la loro quota nel Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (Fosmit), distribuito annualmente dal ministro Calderoli, per sostenere nel proprio ambito territoriale questo modello di sviluppo sostenibile locale introdotto dalla legge 221 del 2015. Anche in questo campo, verifichiamo una consapevolezza e un interesse sempre maggiori, ma il grosso del lavoro resta da fare».

Il cuore dell’Italia batte nelle comunità rurali e montane che punteggiano il Paese, dove l’installazione d’impianti rinnovabili utility scale potrebbe essere una leva per portare lavoro e ripopolamento, eppure in queste stesse zone si moltiplicano le sindromi Nimby e Nimto attraverso la retorica della “speculazione energetica” e della “tutela del paesaggio”. Come si rendono questi territori protagonisti della transizione?

«La voce dei costi energetici è diventata ormai da tempo la più onerosa nei bilanci degli enti locali, superando di gran lunga quella del personale. Le energie rinnovabili rappresentano una straordinaria occasione per abbattere questi costi, liberando risorse finanziarie per altre tipologie di interventi a beneficio dei cittadini. Non si tratta tanto di essere ideologicamente a favore o contro, quanto di programmare e localizzare bene impianti ed interventi, coinvolgendo sempre più la cittadinanza in un dibattito aperto ed informato. C'è tanto brownfield che può essere riutilizzato con impatti minimi sulle prospettive paesaggistiche, senza spingere in territori più controversi, quale può essere, ad esempio, quello dell'agrivoltaico. Ma per gestire processi decisionali aperti ed efficaci e realizzare poi gli interventi serve un numero più ridotto di uffici tecnici dotati di effettiva capacità amministrativa, condivisi fra più enti locali, superando l'antica autoreferenzialità dei singoli campanili. Anche in questo, l'associazionismo fornisce strumenti per contemperare al meglio esigenze differenti, che in una società moderna e dinamica tendono naturalmente a contrapporsi».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.