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Il ricatto di petrolio e gas: dopo i dazi, Trump chiede all'Ue acquisti da 350 miliardi di dollari

Si tratta di un approccio in linea col Governo Meloni, che in barba all’autonomia strategica propone di incrementare l’import di energia e armi dagli Stati Uniti
 |  Nuove energie

Nell’ultimo anno l’Unione europea ha speso 375,9 miliardi di euro per acquistare all’estero combustibili fossili, con gli Usa al primo posto sia per l’import di petrolio sia per quello di gas naturale liquefatto (Gnl). E adesso il presidente Trump chiede che gli Stati europei acquistino altri 350 miliardi di dollari di energia statunitense, per aprire una trattativa sui dazi commerciali da lui stesso imposti.

È quanto emerso ieri a margine dell’incontro nello Studio ovale avvenuto col primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu; rispondendo a un giornalista, Trump ha dichiarato che gli Usa hanno «un deficit con l'Unione Europea di 350 miliardi di dollari e scomparirà in fretta. Uno dei modi in cui può scomparire facilmente e velocemente è che dovranno acquistare la nostra energia da noi... possono acquistarla, possiamo tagliare 350 miliardi di dollari in una settimana. Devono acquistare e impegnarsi ad acquistare una quantità di energia equivalente».

La premessa è falsa, in quanto l’Ue (dati 2023) ha un surplus commerciale in beni verso gli Usa pari a 157 mld di euro annui e un deficit pari a 109 mld di euro sui servizi, mentre 380 mld di euro è il valore delle esportazioni Ue in Usa colpite dai nuovi dazi imposti da Trump. Ma mentre dall'Ue arrivano i primi contro-dazi, l’apertura alle trattative in questi termini potrebbe essere vera, pur scontando l’incertezza insita nell’atteggiamento ondivago del presidente: già a dicembre la Commissione Ue si dichiarava pronta ad aprire un confronto sull’import di Gnl per evitare ritorsioni commerciali – una disponibilità poi ribadita dalla stessa Ursula von der Leyen – ma dagli Usa non sono arrivati finora dettagli su come potrebbe funzionare un accordo sul tema.

Nel frattempo, a prescindere dalle ambizioni trumpiane, sono i dati a mostrare che l’Europa ha sempre meno fame di energie fossili. Quelli messi in fila a inizio anno dall’Institute for energy economics and financial analysis (Ieefa) mostrano che la domanda di gas in Europa è ai minimi da 11 anni e l’import di Gnl è calato del 19% nel 2024, mentre in Italia – sebbene il Paese sia tra quelli più legati d’Europa al metano fossile – la domanda di gas è scesa del 19% dal 2021 e l’import di Gnl è calato del 12% nell’ultimo anno (dopo essere cresciuto del 73% dal 2021 al 2023).

Eppure, nonostante le preoccupazioni sugli impatti sui costi e sulla sicurezza delle importazioni di gas fossile, l'Ue sta ancora espandendo significativamente l'infrastruttura di importazione del gas. L'analisi di Ember stima che la capacità di importazione di Gnl aumenterà da 203 bcm nel 2023 a 313 bcm nel 2030, un aumento del 54%; anche la capacità di import da gasdotti è destinata ad aumentare, con almeno 20 bcm aggiuntivi dall'espansione del Tap e dai progetti EastMed.

Complessivamente, tra terminali Gnl, gasdotti e produzione interna all’Ue, si prevede che la capacità totale di fornitura di gas in Europa aumenterà del 30% entro il 2030 (rispetto al 2023). Si tratta di un aumento in netto contrasto con una già prevista stagnazione della domanda di gas: anche uno scenario conservativo da parte degli operatori di reti elettriche e del gas europei prevede solo una crescita del 4% nella domanda di gas tra il 2023 e il 2030.

Supponendo dunque lo stesso utilizzo di risorsa del 2023, i percorsi divergenti di domanda e offerta di gas porterebbero a 131 miliardi di metri cubi di capacità di fornitura – pari alla domanda annuale di gas combinata di Germania, Francia e Polonia – potenzialmente non necessari e sottoutilizzati, dunque con un potenziale spreco di fondi pubblici enormi e un aumento dei costi per i consumatori.

Giova ricordare che aumentare l’export di Gnl non converrebbe neanche agli Stati Uniti, come documenta un recente report prodotto dallo stesso dipartimento dell’Energia degli Usa. Non è una novità che il Gnl in arrivo dagli Stati Uniti sia particolarmente inquinante, in quanto legato allo sfruttamento dello shale gas, tant’è che si stima abbia un’impronta carbonica tripla rispetto a quella del carbone. Ma secondo il dipartimento dell’Energia a stelle e strisce, aumentare l’export di Gnl sarebbe un boomerang per la stessa economia statunitense – con un rialzo del 30% i prezzi all’ingrosso del gas naturale negli Stati Uniti, con costi medi di 100 dollari all’anno per le famiglie, e un impatto ancora più elevato per quelle a basso reddito. Inoltre da qui al 2050 i costi energetici complessivi per il settore industriale aumenterebbero di 125 miliardi di dollari, portando a potenziali ulteriori aumenti dei prezzi per un'ampia gamma di beni di consumo per i cittadini Usa. 

Per l’Ue, aumentare l’import di Gnl dagli Usa – in ogni caso non certo per un ammontare pari a 350 miliardi di dollari – potrebbe avere un senso solo diminuendo gli acquisti da altri Paesi, in primis la Russia, dalla quale paradossalmente stanno crescendo. Sfruttando le zone grigie offerte dalle navi "fantasma" e dalla pratica di "whitewashing" del Gnl russo, le importazioni da Mosca sono aumentate del 18% in corso d’anno, passando da 38 miliardi di metri cubi (bcm) a 45 bcm, principalmente a causa dell'aumento delle importazioni in Italia (+4 bcm), Repubblica Ceca (+2 bcm) e Francia (+1,7 bcm).

Ed è sempre l’Italia tra i Paesi europei che sostengono adesso la politica suggerita da Trump. Il Governo dei patrioti meloniani, nel suo piano per l’export presentato già a fine marzo, sembra ben disposto a rinunciare a ulteriori fette di autonomia strategica: «A fronte dell’annuncio di dazi da parte dell’Amministrazione americana – si legge nel report – occorre rafforzare ulteriormente i rapporti economici con gli Stati Uniti, anche in un’ottica di riequilibrio del surplus della bilancia commerciale: è possibile una “strategia transattiva”, con accordi su gas (Gnl) e difesa, anche sotto il profilo degli acquisti».

Tutto questo nonostante il salasso economico che già comporta l’import di combustibili fossili (l’anno scorso l’Italia ha pagato 20,6 mld di euro per l’import di gas, e altri 21,2 per quello di petrolio), e il fatto che il caro bollette su famiglie e imprese dipenda in primo luogo dalla dipendenza dal metano fossile.

«Il Governo Meloni, di fronte al disastro economico dei dazi, invece di attaccare Trump se la prende con l’Europa e con il Green deal – commenta nel merito Angelo Bonelli, deputato di Avs e co-portavoce di Europa Verde – Giorgia Meloni è un’irresponsabile che, proprio come Trump, usa la formula del ‘no panico’ per minimizzare gli effetti devastanti dei dazi sovranisti, nel tentativo di nascondere non solo la sua incapacità, ma anche il fatto che questa situazione è generata dalle politiche della destra globale a cui lei fa riferimento. Attaccare il Green deal è uno strumento di distrazione di massa, anche perché Meloni sa bene che la crisi climatica, solo negli ultimi due anni, ha causato danni all’agricoltura, agli immobili e alle imprese a causa di eventi meteorologici estremi, quali alluvioni e siccità. Solo tra il 2023 e il 2024 i danni per la società causati dalle alluvioni sono stati pari a 27 miliardi di euro. Nel piano export del vicepremier e ministro degli Esteri Tajani, in risposta ai dazi, si può leggere a pag. 3 che bisogna riequilibrare il surplus commerciale tra Italia e Stati Uniti acquistando gas (Gnl) e armi da loro. Ora è chiaro perché il governo attacca il Green deal: non vogliono l’autonomia energetica italiana, ma spostano la dipendenza dal gas, che prima era con i russi, verso gli Usa. Ed è chiaro perché Trump vuole aumentare la spesa per armamenti: per ridurre il debito americano con i nostri soldi».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.