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Eroe (Legambiente): «Per ovviare ai problemi legati ai costi del gas, rinnovabili unica soluzione»

L’illusione del carbone: allungare la vita alle centrali italiane non abbasserebbe le bollette

Governatori (Ecco): «Dichiarazioni dei leader di Eni, Enel e del ministro Salvini incomprensibili sul piano delle politiche del clima e dei costi»
 |  Nuove energie

In Italia la progressiva diffusione degli impianti rinnovabili sta già contribuendo a tagliare il costo all’ingrosso dell’elettricità – che è ovviamente uno dei fattori fondamentali, anche se non l’unico, a incidere sulle bollette –, ma si tratta di un’avanzata ancora troppo lenta per compensare le fluttuazioni di prezzo del fattore che più di ogni altro pesa sulle tasche degli italiani: il gas fossile. Eppure le forze di governo stanno pensando di passare dalla padella alla brace, con un ritorno all’elettricità da carbone che ha già intrapreso il suo viale del tramonto.

Storicamente il carbone in Italia non ha mai svolto un ruolo di rilievo (non ha mai superato il 10% del mix energetico nazionale), ciononostante anche nel nostro Paese la generazione elettrica da carbone è già in calo. Nel 2024 ha generato “solo” 3.500 GWh di energia elettrica, cioè il 71% in meno rispetto all’anno precedente. Questa riduzione è in linea con l’impegno dell’Italia a dismettere le proprie centrali a carbone ancora attive nel 2025 (Brindisi, Civitavecchia, e Monfalcone), ad eccezione di quelle situate in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo) che verranno chiuse definitivamente nel 2028, in attesa di alcuni importanti interventi infrastrutturali a partire dal completamento del Tyrrhenian Link, che consentirà gli scambi energetici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia. Eppure al convegno della Lega sul nucleare è riemersa, anche da parte di Enel e Eni, l’ipotesi si rinviare la chiusura delle centrali a carbone, allungando così la vita del peggior combustibile fossile per emissioni climalteranti e inquinanti. Un’ipotesi cui tutte le principali associazioni ambientaliste italiane hanno già risposto «no grazie».

«Ho trovato le dichiarazioni prepasquali dei leader di Eni, Enel e del ministro Salvini incomprensibili sul piano delle politiche del clima e dei costi – spiega a greenreport l’economista Michele Governatori, responsabile Relazioni esterne - Energia del think tank climatico Ecco – Un megawattora a carbone emette grosso modo il triplo dei gas-serra di uno da ciclo combinato a gas (che già siamo impegnati a usare sempre meno a vantaggio delle rinnovabili). Se quindi dal punto di vista degli obiettivi climatici si tratta di ipotesi evidentemente incompatibili, da quello economico altrettanto: l’elettricità a carbone non è competitiva in un contesto di carbon tax come l’Ets europeo con i prezzi che esprime ormai da molti anni».

Il funzionamento del mercato europeo per le emissioni di CO2 (Eu Ets) è semplice, e si basa sul principio del “cap and trade”. Annualmente viene fissato un tetto che stabilisce la quantità massima che può essere emessa dagli impianti che rientrano nel sistema, ed entro questo limite le imprese possono acquistare o vendere quote in base alle loro esigenze. Una quota dà al suo titolare il diritto di emettere una tonnellata di CO2: le imprese che non ricevono quote di emissione a titolo gratuito o per le quali le quote ricevute non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte, devono acquistare le quote di emissione all’asta. Viceversa, chi ha quote di emissioni in eccesso rispetto alle emissioni prodotte, può venderle, stimolando l’innovazione e la competitività.

L’equilibrio tra la domanda e l’offerta di questi permessi determina il prezzo della CO2 (pari oggi a circa 65 euro per tonnellata emessa), mentre i proventi delle aste Ets vengono già ora messi in disponibilità dei singoli Stati, che sono chiamati a investirne almeno il 50% per azioni legate al clima e alla transizione ecologica. Cosa che peraltro l’Italia non sta facendo, come documenta proprio una recente analisi di Ecco.

«Non mi sembra praticabile nemmeno la proposta del ministro Pichetto – aggiunge Governatori –, che ha dichiarato che vedrebbe bene lasciare le centrali a carbone in stand-by. Il che, peraltro, sarebbe in linea con la nostra tradizione di Paese che ritarda le bonifiche sine die: gran parte delle centrali termoelettriche storiche sono ancora lì a occupare con le loro ciminiere spazi e visuali costieri di grande pregio. Una centrale pronta ad accendersi in caso di necessità qualcuno la deve pagare. Non stiamo per questo già elargendo i premi del capacity market a quelle a gas in misura sufficiente per la stessa Terna a garantire sicurezza? Vogliamo violare le regole europee del capacity per farci rientrare anche il carbone? Chi paga le bollette ringrazierebbe».

Che fare dunque? Se abbiamo i prezzi dell’energia tra i più alti d’Europa, è perché siamo anche il Paese europeo con la maggiore dipendenza dalle importazioni dall’estero di combustibili fossili, principalmente gas. «Per ovviare ai problemi legati ai costi del gas, che certamente potranno cresce ancora, visto che importiamo oltre il 90% del gas fossile che consumiamo – ci spiega Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente – è fondamentale non guardare indietro ma andare avanti, guardando alle rinnovabili come unica soluzione in grado non solo di ridurre i costi energetici del Paese, ma anche di evitare le fluttuazioni derivanti da situazioni geopolitiche e speculazioni: basta guardare a esempi come Spagna e Germania, dove con la chiusura del nucleare sono cresciute le rinnovabili e si è ridotta la produzione da carbone».

Nel merito, è utile richiamare le stime elaborate dal ricercatore Luigi Moccia: se nell’ultimo quadriennio l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto Spagna o Portogallo, avrebbe risparmiato sull’elettricità ben 74 miliardi di euro. E siamo appena all’inizio: come già spiegato a greenreport dal direttore scientifico del Kyoto club, Gianni Silvestrini, secondo «un modello predisposto dalla Banca di Spagna, se si raggiungessero gli obbiettivi al 2030 del Pniec spagnolo (78% di rinnovabili elettriche) i prezzi del kWh potrebbero ridursi di un ulteriore 50%». Sempre guardando all’ultimo quadriennio, se l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto la Germania avrebbe risparmiato 49,4 miliardi di euro sui prezzi elettrici.

Alla luce di questi dati risultano dunque «anacronistiche e inascoltabili – conclude Eroe – le dichiarazioni sulla possibilità di mantenere in vita le centrali a carbone, anche solo per averle in standby in attesa che qualche evento speculativo sui costi del gas facciano crescere ulteriormente le bollette di famiglie e imprese. L’Italia ha preso l’impegno dell’uscita da questa fonte inquinante e climalterante già diversi anni fa, ed è impensabile che a pochi mesi dalla loro chiusura ufficiale qualcuno pensi di fare marcia indietro. Il carbone nel 2023 ha contribuito solo per il 4,3% rispetto ai consumi elettrici nazionali, percentuali prossime allo zero nel 2024, in virtù non soltanto delle politiche di dipendenza energetica e quindi dalle importazioni di gas portate aventi dal Governo Meloni, ma anche grazie alla crescita delle rinnovabili che in questo ultimo anno sono arrivate a coprire il 41,2% del fabbisogno elettrico nazionale, segnando un record mai raggiunto prima».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.