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Energia, entro il 2050 almeno l’80% della produzione dei Paesi G20 proverrà da fonti non fossili

La stima è contenuta in uno studio realizzato da Ispi e Deloitte, nel quale viene però anche sottolineato che l’aumento dei costi e la dipendenza da un ristretto gruppo di fornitori di materie prime critiche sono fattori che pongono nuove sfide
 |  Nuove energie

Come si possono conciliare gli obiettivi di sostenibilità e le esigenze di sicurezza energetica, rese ancora più ineludibili dalle tensioni geopolitiche e commerciali? La questione è di stretta attualità e la necessità di trovare una risposta urgente. Basti pensare che le emissioni di CO2 legate all'energia hanno aggiunto il livello record di 37,7 gigatonnellate e che il settore elettrico è responsabile per il 36% delle emissioni, seguito dall’industria (26,5%), dai trasporti (21,2%) e dall’edilizia (7,9%). Le stime indicano che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe provocare circa 14,5 milioni di morti, perdite economiche per 12,5 mila miliardi di dollari e fino a 1,1 mila miliardi di spese sanitarie extra.

All’argomento Ispi e Deloitte hanno dedicato uno studio dal titolo “Reconciling Sustainability Transition Priorities with Energy Security ones: a focus on Industrialized Countries” nel quale viene messo in evidenza che la transizione verso un’economia verde è fondamentale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Nel documento si sottolinea che ovviamente non partiamo da zero nell’affrontare la sfida, anzi: il 2024 è stato un anno record per le energie rinnovabili, che hanno rappresentato oltre il 90% della nuova capacità di energia a livello mondiale. E la cosa ulteriormente positiva è che si tratta di un’ulteriore crescita dopo che nel 2023 la capacità globale di energia rinnovabile era già aumentata di oltre il 50% rispetto al 2022. Secondo le stime, richiamate dallo studio, del modello Poles (Prospective Outlook on Long-term Energy Systems) dell’Unione europea, entro il 2050 e nello scenario a 1,5°C almeno l’80% della produzione elettrica dei Paesi G20 proverrà da fonti non fossili.

Il problema è che sono ancora necessari molti progressi per allinearsi all’obiettivo globale di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile entro il 2030. Secondo l’Irena - l'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili - per raggiungere questo target la capacità dovrà crescere di almeno il 16% all’anno nei prossimi cinque anni. Una sfida ambiziosa alla quale sono chiamati tutti i Paesi e che è al centro proprio dello studio elaborato da Ispi e Deloitte su come conciliare gli obiettivi di sostenibilità e le esigenze di sicurezza energetica.

Nello studio si sottolinea il fatto che la pandemia di Covid-19, l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia e i conflitti in Medio Oriente hanno portato a una ridefinizione delle catene di approvvigionamento e a un rialzo dei prezzi delle materie prime, in particolare in Europa. Nell'agosto 2022, pochi mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, i prezzi del gas nell'Ue sono arrivati in media a più di 3 volte quelli del Giappone e a quasi 8 volte quelli degli Stati Uniti, con una conseguente riduzione della competitività sui mercati globali per le imprese europee.

Un altro elemento di destabilizzazione verso la transizione energetica segnalato dallo studio Ispi-Deloitte è l’elevata concentrazione geografica di minerali critici, essenziali per la produzione di tecnologie pulite. Tra gli esempi dello studio, la Repubblica Democratica del Congo che fornisce il 70% del cobalto, la Cina il 60% delle terre rare e l'Indonesia il 40% del nichel, l'Australia rappresenta invece il 55% dell'estrazione del litio e il Cile il 25%. Anche la lavorazione di questi minerali è altamente concentrata: la Cina è responsabile della raffinazione del 90% delle terre rare e del 60-70% di litio e cobalto.

Andrea Poggi, head of dcm public policy & stakeholder relations centre e dcm innovation leader di Deloitte commenta: «È fondamentale promuovere un approccio sinergico e collaborativo tra istituzioni e imprese, valorizzando innovazione e tecnologie emergenti come leva di crescita». Antonio Villafranca, vice presidente Ispi per la ricerca aggiunge: «È nell'interesse stesso dei Paesi industrializzati guidare la transizione verde e garantire una crescita più strategica e sostenibile. Tuttavia, sono necessarie nuove politiche e risorse finanziarie per affrontare l'impatto a breve termine su imprese e famiglie».

Redazione Greenreport

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