
Germania, la nuova ministra all’Economia e all’Energia dice no al ritorno del nucleare

Il nuovo Governo tedesco nato nel segno del cancelliere Friedrich Merz conferma che la Germania farà a meno dell’energia nucleare. A spiegarlo è la nuova ministra dell’Economia e dell’Energia della Germania, Katherina Reiche – espressione della Cdu ma con alle spalle una solida carriera nel mondo energetico –, secondo la quale l’epoca dell’atomo si è definitivamente chiusa per il Paese.
«Un ritorno al nucleare richiede non solo denaro, ma anche la fiducia delle aziende che dovrebbero assumersi questo impegno, e non solo per una legislatura, ma oltre – afferma Reiche – Se ho capito correttamente il settore in cui ho lavorato in passato, c’è un forte scetticismo sul fatto che una decisione positiva possa essere definitiva. Non vedo aziende pronte a investire di propria iniziativa. È anche difficile ottenere un consenso sociale favorevole a questo. Avremmo potuto averlo, ossia prolungando significativamente la vita utile delle ultime tre centrali nucleari durante la crisi energetica. L’occasione è stata persa. Ora dobbiamo convivere con questa situazione».
Nel suo discorso inaugurale al ministero, Reiche ha però dichiarato anche che la Germania ha bisogno di un «reality check» per valutare costi e rischi delle rinnovabili: l’espansione dovrebbe quindi eventualmente essere contenuta per essere meglio allineata alla lenta crescita della rete elettrica nazionale. Proseguendo la linea del suo predecessore ecologista Robert Habeck, Reiche ha anche aggiunto che il Paese deve rapidamente avviare aste per costruire fino a 20 GW di nuova capacità da centrali a gas, in modo da garantire una riserva di backup efficace nei periodi in cui la produzione da rinnovabili è molto bassa.
I Verdi tedeschi hanno accolto con favore la posizione di Reiche sul nucleare, ma hanno criticato le sue ipotesi per rallentare l’espansione delle fonti rinnovabili del Paese, dato che una diffusione più lenta delle fonti pulite comporterebbe costi maggiori «in termini di esposizione al ricatto di stati autocratici, aumento dei prezzi della CO₂ e danni climatici», come sottolinea la copresidente del gruppo parlamentare dei Verdi, Julia Verlinden, sottolineando al contempo che i costi di produzione dell’elettricità da fonti rinnovabili sono molto più bassi rispetto a quelli degli impianti a combustibili fossili.
Per capire meglio cosa potersi davvero aspettare su questo fronte, la Verein deutscher ingenieure (Vdi) – ovvero l’Associazione degli ingegneri tedeschi nata nel 1856 e che oggi raggruppa oltre 130mila professionisti, rendendola l’associazione d’ingegneri più vasta dell’Europa occidentale – suggerisce di guardare al contesto più ampio, delineato sempre dalla Iea nell’ultimo World energy outlook (Weo 2024).
All’interno dello scenario Annunced pledges – ovvero basato sugli impegni già annunciati dai vari Stati nel rispetto dall’Accordo sul clima di Parigi – la produzione di elettricità dalle centrali nucleari in tutto il mondo potrebbe aumentare fino a 6.055 TWh, più che raddoppiando il dato attuale. Eppure la quota dell’energia nucleare nella produzione mondiale di elettricità rimarrebbe solo intorno al 9%, sia perché la domanda complessiva di elettricità aumenterà (di un fattore 2,36), sia per la crescita vorticosa delle energie rinnovabili: da qui al 2050 il fotovoltaico passerà dal 5% al 40% della produzione globale di elettricità, mentre il salto dell’eolico sarà dall’8% al 26%. Complessivamente, la quota di tutte le rinnovabili nella produzione globale di elettricità potrebbe aumentare dal 30% nel 2023 all’83% nel 2050.
Lo stesso avverrà in Ue, dove si prevede che la produzione di energia nucleare aumenterà fino a 860 TWh entro il 2050 (un dato comunque più basso di quello relativo al 2010), ma la quota dell’atomo sulla produzione elettrica continuerà a scendere fino al 15%. Al contempo in Ue il fotovoltaico passerà dal 9% al 24%, l’eolico dal 18% al 46%, così da portare la quota di tutte le font rinnovabili a crescere dal 45% all’84% di tutta l’elettricità prodotta.
«Questi dati indicano che, nonostante il previsto aumento della produzione di energia nucleare, le energie rinnovabili rimarranno il motore principale della transizione energetica», spiega per la Vdi il prof. Harald Bradke. Per la Germania e l’Europa ciò significherebbe continuare a concentrarsi su un percorso che sfrutti il potenziale delle energie rinnovabili e promuova un approvvigionamento energetico sostenibile, con un ruolo limitato dell’energia nucleare.
Senza dimenticare che già oggi la Germania corre assai più dell’Italia sul fronte delle rinnovabili: il ritmo delle installazioni è circa sette volte più rapido di quello, lentissimo, in corso nel Bel Paese.
