
Aree idonee alle rinnovabili, neanche la sentenza del Tar Lazio sta scalfendo la prudenza e l’attendismo delle Regioni

A un socio di Legambiente che qualche giorno fa mi chiedeva, con una certa insistenza, come potessero convivere nell’azione associativa il nostro profilo vertenziale contro la realizzazione della nuova pista aeroportuale a Firenze o la nostra lotta dura contro il modello estrattivista apuano, con la nostra postura volitiva sulle rinnovabili, ho risposto che i due atteggiamenti sono le due facce della stessa medaglia.
Con l’opposizione alle grandi opere, al consumo di suolo, al prelievo dissennato delle risorse naturali, suggeriamo azioni concrete e ineludibili di adattamento e resilienza dei nostri territori. Con la promozione di un nuovo modello energetico, che superi finalmente la dipendenza da quelle fonti fossili che hanno tanto alterato il clima da mettere in discussione la vivibilità sul pianeta della nostra specie, intendiamo invece proporre nel medio/lungo periodo un’efficace mitigazione del rischio climatico.
La cornice unitaria entro la quale tutti dovremmo confrontarci e concentrarci è, infatti, lo scenario di decarbonizzazione. Come arriviamo al -55% delle emissioni nette (rispetto al 1990) al 2030? Come raggiungiamo il ben più ambizioso traguardo della neutralità climatica al 2050? La scienza ci dice che siamo sull’orlo del baratro. Ultimo dato disponibile sulla concentrazione di CO2 in atmosfera: 432 ppm. Ultimo dato sulla temperatura media globale della crosta terrestre (2024): +1,64°C rispetto al periodo pre-industriale. Sono statistiche semplicemente sconvolgenti. Che dovrebbero impegnarci tutti, in modo unanime e coordinato, a costruire politiche lungimiranti e condivise.
Invece, a cosa assistiamo? Alla melina, al continuo rimpallo di responsabilità, alle schermaglie di sapore populista. Entriamo ora nel vivo della vicenda Aree idonee. Il D.Lgs. 199/2021, in attuazione della fondamentale Direttiva europea Red II, aveva dato 180 gg di tempo allo Stato per definire, con uno o più decreti attuativi, la cornice giuridica omogenea entro cui configurare le Aree idonee sui territori. Questo Decreto, come si sa, è arrivato con oltre due anni di ritardo, il 21 giugno 2024. E ha poi, di fatto, interamente devoluto la materia alle Regioni. Come dire: decido di non decidere e sbologno la patata bollente all’articolazione repubblicana immediatamente sottostante.
A questo punto, vista l’inerzia statale, era lecito attendersi almeno il senso di responsabilità delle Regioni. Abbiamo, invece, dovuto registrare l’atteggiamento opposto. La Regione Sardegna, ad esempio, con Legge del 5 dicembre 2024, decide di vietare l’installazione di impianti da Fer su oltre il 99% del suo territorio. In Toscana, con grandi timidezze, s’immagina di vietare il fotovoltaico sul 70% del territorio e si decide di collocare i progetti di impianti eolici, tutti e indistintamente in procedura ordinaria.
Come dire: le direttive europee ci obbligherebbero ad accelerare, ma noi, sul nostro territorio, non ce lo possiamo permettere perché non abbiamo (o pensiamo di non avere) il consenso sufficiente per farlo. Seguono poi interlocuzioni serrate in incontri bilaterali, concertazioni, audizioni; tutte occasioni nelle quali facciamo presente l’urgenza del dover decidere e del decidere nell’interesse del bene comune.
E veniamo ora alla sentenza n. 9155 del 13 maggio 2025 del Tar Lazio, che sulla base dei ricorsi di molte aziende contro il Decreto Aree idonee del Mase del giugno scorso, censura di quel Decreto soprattutto due aspetti cruciali:
- L’eccesso di delega alle Istituzioni regionali, così stabilendo che quel comma 8 dell’art. 20 del D.Lgs. 199/2021 è vincolante, e non può quindi essere interpretato a piacimento e, soprattutto, non può esserlo in senso restrittivo.
- L’assenza di omogeneità dei criteri sul territorio nazionale, affermando così implicitamente che non ci possono e non ci potranno mai essere 20 interpretazioni diverse della “fattispecie area idonea”, una per ciascuna regione.
E siamo alla stretta attualità. Ragionevolezza avrebbe voluto che a questo punto, davanti alle dure evidenze giurisprudenziali, si recedesse da propositi e comportamenti eccessivamente “sovranisti”. Ma anche in questo frangente, ci sbagliavamo: neanche la sonora bocciatura della giustizia amministrativa ha scalfito la prudenza e l’attendismo.
La Regione Toscana, ad esempio, ha deciso di tirar dritto sulla filosofia di fondo della sua legge regionale, rimandando la levigazione e il perfezionamento dell’articolato al lavoro di un gruppo tecnico/politico, che da oggi fino alla metà di luglio s’impegnerà a non farsi trovare impreparato quando uscirà il Decreto, opportunamente rinovellato ai sensi della sentenza 9155. Mi domanderete: e nel merito? Eolico sempre e soltanto in procedura ordinaria, al netto delle aperture sul micro e il minieolico (per impianti di potenza <1MW). Agrivoltaico possibile se e solo se proposto da imprese agricole professionali, in forma singola o associata. Un favor consistente per l’autoconsumo collettivo (per famiglie e piccole imprese) e un occhio di riguardo per le Cer. Insomma: una prudenza olimpica, degna davvero di miglior causa.
Mentre oggi noi discutiamo delle preoccupazioni, persino legittime, dell’agricoltura e del turismo locali, il rischio è che si perda di vista la “cornice d’insieme”. Del perché siamo a legiferare su questa materia. E del perché (il condizionale è d’obbligo) dovremmo farlo con la massima solerzia. Nel frattempo, i paesaggi dei nostri ghiacciai alpini scompaiono, la desertificazione è ormai una realtà del nostro Mezzogiorno ed eventi meteo estremi funestano con puntuale regolarità tutta la penisola, Toscana naturalmente inclusa. Insomma, mentre noi discutiamo, Sagunto è espugnata e muore.
