La gestione dei porti italiani diventa terreno di scontro tra i partiti della maggioranza
Tutti pronti a giurare che l’Italia necessita di una sana e robusta crescita dell’economia marittima, che naturalmente vede nello sviluppo della portualità uno dei fattori cardini per contribuire, in maniera determinante, all’incremento dei flussi di traffico marittimo: lo sviluppo dei porti e del loro management, dunque, diventa la condizione indispensabile per assicurare il rilancio dell’economia marittima nazionale, che passa inevitabilmente dal migliorare le condizioni logistiche e strutturale dei porti in modo da consentire di attrarre lo shipping internazionale e creare le condizioni migliori per rivaleggiare con altre portualità mediterranee, oggi in costante crescita.
Questo, in estrema sintesi, è il tentativo di riassumere in modo conciso e diretto l’antica querelle dei porti italiani che, da molti, troppi anni, vedono disattese le loro istanze di potenziamento infrastrutturale e logistico mentre crescono in modo esponenziale le liti per accaparrarsi le poltrone delle presidenze, mai come adesso diventate oggetto di contenziosi che dall’agone politico sono finite, per ora, direttamente davanti ai competenti tribunali amministrativi, e non si può escludere che si possa procedere secondo i diversi gradi di giudizio previsti nel nostro ordinamento.
Emblematica di questa situazione, oscillante tra il ridicolo e il grottesco, è diventata la nomina a commissaria straordinaria dell’ex eurodeputata leghista, l’avv. Annalisa Tardino, all’Autorità di sistema portuale della Sicilia orientale (Porto di Palermo capofila più altri 5 scali dell’area) che ha fatto crescere la tensione politica nell’Isola fino a portar al calor bianco lo scontro istituzionale tra il presidente della Regione siciliana Renato Schifani e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini: in sostanza questa maggioranza di governo chiede ai giudici amministrativi di risolvere beghe scaturite dalla scelta di chi mettere al vertice delle Autorità di sistema portuale e che, a ragione, dovrebbero essere affrontati in chiave politica e non a colpi di carta bollata, pretendendo che i magistrati risolvano controversie che spettano di diritto alla classe politica che ha (meglio dire avrebbe) l’onere della responsabilità della scelta di chi mettere al vertice di sistemi economici tanto rilevanti da poter essere considerati strategici per lo sviluppo dell’economia del Paese.
Invece, assistiamo a pietose dispute, senza esclusione di colpi, per mettere su quella poltrona Tizio piuttosto che Caio, ignorando completamente se Tizio è davvero più capace di Caio; l’importante diventa assegnare un posto di assoluto rilievo nella spartizione di un potere che, se gestito senza cognizione di causa, corre il serio rischio di trasformarsi in un pantano burocratico dove affogare in contenziosi senza fine diventa quasi inevitabile.
Una logica portuale da rivedere profondamente, come profondamente sono da rivedere i tiranti d’acqua presenti nei porti italiani, che spesso si rivelano non sono sufficienti a consentire l’ordinaria attività commerciale dei porti, figuriamoci se lo sono possono essere per un auspicato incremento dei flussi di traffico.
Ricordiamo ad esempio che il famoso piano di gestione nazionale dei dragaggi – previsto nel 2021 – è a tutt’oggi fermo e si procede caso per caso, stiracchiando norme vecchie ed inadatte a gestire problematiche così complesse.
La portualità italiana soffre di vecchie patologie che col tempo si sono aggravate, incancrenite, e non saranno le dispute davanti ai giudici amministrativi a risolvere problematiche di questa portata. In ultimo, riflettiamo se davvero la classa dirigente dei porti italiani non ha niente di meglio da proporre da mettere al vertice di un sistema portuale assai complesso come quello di Palermo. Se così fosse, al di là di ogni disputa politica o giurisdizionale, saremmo un Paese ben misero.