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Il 9° Rapporto nazionale sulla sharing mobility

Dieci anni di sharing mobility, i treni persi dall’Italia e quelli che ancora può perdere se non si muove

Era il 1998 quando nel nostro Paese per la prima volta ha fatto capolino il concetto di «uso collettivo ottimale» dei mezzi di trasporto. Ma il servizio ha preso piede solo a metà degli anni Dieci. E oggi? Cresce la domanda ma cala la disponibilità di servizi, quindi è urgente un cambio di rotta. «Il rischio è che nei prossimi anni si accentui lo squilibrio tra mobilità individuale e condivisa, aumentino i divari territoriali e sociali, e si allontani ulteriormente l’obiettivo della transizione ecologica della mobilità urbana»
 |  Trasporti e infrastrutture

Era il lontano 1998 quando per la prima volta ha fatto capolino in Italia il concetto di «sharing mobility». Allora non si diceva in inglese e si parlava piuttosto di «uso collettivo ottimale delle autovetture». Quello delle bici elettriche era un mondo ancora tutto da scoprire, di monopattini elettrici zigzaganti per le strade urbane neanche a parlarne. Un decreto del ministero dell’Ambiente del 27 marzo di quell’anno incentivava ad adottare una – titolo – «Mobilità sostenibile nelle aree urbane». Si legge nel testo, pubblicato poi in Gazzetta ufficiale il 3 agosto 1998, all’articolo 4, comma1: «I Comuni incentivano associazioni o imprese ad organizzare servizi di uso collettivo ottimale delle autovetture, nonché a promuovere e sostenere forme di multiproprietà delle autovetture destinate ad essere utilizzate da più persone, dietro pagamento di una quota proporzionale al tempo d’uso ed ai chilometri percorsi». Poi, comma 2: «Le incentivazioni e le misure di cui al comma 1 sono ammesse a condizione che i servizi di uso collettivo ottimale e le forme di multiproprietà avvengano con autoveicoli elettrici, ibridi, con alimentazioni a gas naturale o Gpl dotati di dispositivo per l’abbattimento delle emissioni inquinanti, o immatricolati ai sensi della direttiva 94/12/CEE» (riguardante appunto i limiti alle emissioni).

Greta Thunberg ancora non era nata, la società Tesla ancora non era stata fondata ed Elon Musk ci avrebbe messo ancora un altro po’ di tempo prima di capire che conveniva investire in quell’azienda messa in piedi da due ingegneri i cui nomi oggi non dicono niente a nessuno. Ok, c’era stato sei anni prima il vertice di Rio, non è che la questione dei cambiamenti climatici fosse proprio fuori dall’agenda politica internazionale. Ma l’Italia aveva intuito prima e forse anche più di altri Paesi quale fosse la strada da imboccare. E aveva iniziato a legiferare in tal senso. Peccato che tra cambi di maggioranze politiche e conseguenti mancati investimenti nei settori green (si era alla vigilia, salvo la parentesi dei governi D’Alema, del ventennio berlusconiano, fatto di zero risultati concreti sul fronte della tutela dell’ambiente e della biodiversità nonostanti proclami e manifesti vari, impegni rimasti sulla carta per quanto riguarda le politiche sul clima e invece accordi à gogo con Putin per il gas importato dalla Russia) l’Italia ha accumulato su questo fronte un ritardo considerevole rispetto ad altri Paesi europei, per non parlare del confronto con quelli asiatici.

A guidare il ministero dell’Ambiente, in quel marzo 1998 in cui a Palazzo Chigi sedeva Romano Prodi, c’era Edo Ronchi, che oggi riveste il ruolo di presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile. Ed è proprio quest’organizzazione che ora fa il punto, insieme ad altri soggetti a vario titolo impegnati nel settore, sui «dieci anni di sharing mobility». Che potevano essere molti di più se l’Italia non avesse perso la strada che stava imboccando ormai quasi trent’anni fa. Ma se il passato è passato, il problema ora è che anche per il futuro sembra che ci stiamo muovendo non nella giusta direzione. E questo emerge dall’analisi contenuta nel 9° Rapporto nazionale sulla sharing mobility, presentato in occasione della conferenza organizzata dall’Osservatorio nazionale della Sharing mobility, promosso dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dalla Fondazione per lo Sviluppo sostenibile.

Dal report emerge infatti che la sharing mobility si è radicata ormai nelle abitudini di mobilità degli italiani, che cresce la domanda con oltre 50 milioni di noleggi nel 2024 e 60 milioni stimati per il 2025, che la flotta è per il 95% a zero emissioni. Tutto bene, dunque? Non proprio, perché prosegue invece il calo dell’offerta con meno veicoli, servizi e operatori. Nel 2024 rispetto al 2022, viene evidenziato, i veicoli in sharing sono 96.000 (-15%), il numero complessivo dei servizi è di 170 (-26%) e gli operatori sono scesi tra il 2022-25 a 35 (-24%). Tra l’altro l’offerta si concentra sempre di più nelle grandi città, con Roma e Milano in testa che con 13,2 e 12,6 milioni noleggi generano insieme oltre il 50% del totale nazionale. Ma ben 16 capoluoghi di provincia, soprattutto medio piccoli, come Catanzaro, Reggio Calabria, Pesaro e Prato, hanno perso invece servizi di sharing.

Dati e tendenze che indicano l’urgenza di un cambio di rotta rispetto a quanto fatto nell’ultimo paio di anni, e la necessità invece di integrare questi servizi col trasporto pubblico e anche di immettere incentivi economici alla domanda e supporto all’offerta. Senza nuovi modelli di regolazione e sostegno della mobilità condivisa, viene sottolineato, aumenterà infatti inesorabilmente l’uso dell’auto privata che nel 2024 ha superato 40 milioni di veicoli, 701 ogni mille abitanti. Si legge nella chiusa del testo introduttivo del report: «Il rischio concreto è che, nei prossimi anni, si accentui lo squilibrio tra mobilità individuale e condivisa, aumentino i divari territoriali e sociali — già molto marcati nel sistema dei trasporti italiani — e si allontani ulteriormente l’obiettivo della transizione ecologica della mobilità urbana».

Osservando nel dettaglio il report, emerge che il carsharing, che è stato il primo servizio di mobilità condivisa presente in Italia, oggi è il comparto più in difficoltà, con un calo in termini di città servite e di noleggi, complice anche la micromobilità. Il bikesharing è invece il comparto più in salute, una crescita nel 2024 che ha fatto toccare il picco di 12,2 milioni, valore di oltre il 162% superiore a quanto registrato nel 2021 e del 26% più alto del 2022. Complessivamente il bikesharing rappresenta il 32% del totale dei noleggi. I km percorsi sono stati circa 25 milioni. Il numero di bici elettriche è aumentato del 18% rispetto al 2023 con oltre 4.500 veicoli in più. La prima città per biciclette elettriche è Milano (più di 10mila veicoli), seguita da Roma (circa 7mila) e Bologna (2,7mila). Per quanto riguarda invece i monopattini, i servizi hanno registrato un calo rilevante: dai 99 attivi nel 2022 si è passati a 68 nel 2024 e a 62 nei primi mesi del 2025, un fenomeno che gli autori del report attribuiscono a un riposizionamento degli operatori in più città o all’uscita dal mercato di alcuni gestori Diminuisce anche il numero di città capoluogo di provincia in cui è presente un servizio di monopattino in sharing: tra il 2022 e il 2024 ci sono 15 città in meno. La flotta (circa 42.000 veicoli) è cresciuta nel 2024 di 2 mila unità, ma si prevede in calo del 6% nel 2025. Le città con più monopattini in sharing sono Roma (13.500), Milano (6000) Torino (4.000) Palermo (2.280).

Anche la domanda di servizi di scooter sharing si sta riducendo: dopo il picco del 2023, i noleggi si riducono del 23% nel 2024. La flessione, viene spiegato, è imputabile in larga parte a Milano, dove la chiusura di un operatore ha fatto perdere circa 1 milione di noleggi. E complessivamente l’offerta, dopo essersi dimezzata tra 2022 e 2024, è solo leggermente cresciuta e rimasta stabile a inizio 2025. Le città servite sono 9: nel 2024 le flotte più fornite sono a Milano con 1836 scooter, ma oltre 1000 in meno rispetto al 2023, Roma (1.556), Torino (349) e Bari (150).

Un capitolo a sé viene dedicato dal report alla questione incidenti: sono in diminuzione, in media un incidente ogni 300.000 km percorsi. Il calo, nel 2024, è del 7% per i monopattini, del 54% per gli scooter e del 67% per le biciclette. Il monopattino conferma un dato in linea con lo scooter, con valori rispettivamente pari a 0,6 e 0,4 incidenti ogni 100.000 km. Nel complesso, concludono gli autori del report, il calo generalizzato evidenzia un miglioramento significativo della sicurezza.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.