La morsa italo-tedesca ha funzionato: praticamente certo che Bruxelles ritirerà lo stop ai motori termici dal 2035
Bruxelles sta cedendo alle pressioni delle case automobiliste europee e a quei governi, in primis quello tedesco e quello italiano, che da tempo si stanno muovendo per affossare il divieto alla vendita di auto a benzina e diesel in Europa a partire dal 2035. Pressioni che si sono fatte più stringenti a inizio ottobre, quando alla Commissione Ue è stata recapitata una lettera firmata dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dalla ministra dell’Economia tedesca Katherina Reichein cui si chiedeva di rivedere la strategia sull’automotive «superando le gabbie ideologiche del Green deal». Alla fine dello stesso mese la Commissione Ue ha spostato un po’ di asticelle fissate in passato su politiche climatiche, transizione, mobilità sostenibile: con una lettera inviati ai leader europei, la presidente Ursula von der leyen ha fatto sapere che l’esecutivo comunitario era pronto ad aprire ai biocarburanti e a mostrare flessibilità sulla data limite per i motori endotermici. Il piano inclinato non si è interrotto, e ora che siamo alla vigilia di un appuntamento chiave, ovvero la riunione di martedì 16 dicembre che varerà il pacchetto comunitario sul settore dell’automotive, il quotidiano tedesco Bild pubblica un articolo in cui si parla di accordo raggiunto tra von der Leyen e il leader del Ppe Manfred Weber: niente stop tra una decina di anni alla vendita di auto con motori inquinanti, bensì «per i nuovi veicoli immatricolati dal 2035 ci sarà l’obbligo di una riduzione del 90% delle emissioni di CO2 per gli obiettivi di flotta delle case automobilistiche, non più del 100%», scrive la testata tedesca riportando delle dichiarazioni dello stesso Weber con le quali conferma che l’obiettivo «del 100% non ci sarà neanche a partire dal 2040».
In verità Berlino è stato solo uno dei soggetti che si è mosso per affossare lo stop ai motori più inquinanti. Nelle stesse ore in cui il quotidiano tedesco pubblicava quell’articolo, il Clean energy wire ne pubblicava un altro meno “germanocentrico” dal titolo “Germania e Italia lanciano un appello congiunto per ammorbidire il divieto dell’Ue sulle auto con motore a combustione interna entro il 2035". E, giusto per dare l’idea di quanto Roma abbia contato in questa partita, va detto che quell’appello è stato lanciato proprio dalla capitale italiana: l’altro ieri i due autori della lettera alla Commissione Ue in cui nel mese di ottobre si chiedeva un passo indietro sullo stop al 2035, ovvero il ministro Urso e la ministra tedesca Reichein, erano di nuovo gomito a gomito al Forum ministeriale Mimit-Bmwe che si è svolto a Roma nell’ambito del “Piano d’Azione italo-tedesco”. I due hanno siglato una nota congiunta per chiedere alla Commissione Ue una svolta «rispetto alle condizioni che oggi limitano la competitività del nostro continente». Inutile dire che in cima alla lista delle priorità figura il settore automobilistico con «una revisione tempestiva e pragmatica del quadro normativo Ue sulle emissioni di CO₂, fondata su neutralità tecnologica, flessibilità ed evitando sanzioni sproporzionate, così da non penalizzare i produttori né trasferire costi aggiuntivi su imprese e consumatori».
L’asse Roma-Berlino sembra dunque aver raggiunto il risultato sperato. Quello, almeno, di far compiere alla Commissione europea un passo indietro rispetto allo stop alla vendita di auto a benzina e diesel tra dieci anni. Quanto all’obiettivo della competitività che ne deriverebbe, invece, diverse indagini e analisi dicono l’esatto opposto, ovvero che mantenere il divieto al 2035 sarebbe meglio per garantire posti di lavoro e la capacità di non perdere definitivamente terreno nei confronti della Cina, che non è il Green deal a frenare il settore auto europeo, che i biofuels sponsorizzati dal governo italiano non sono la soluzione.
L’ultimo approfondimento in questo senso è arrivato da Transport&Environment pochi giorni fa. Viene spiegato perché la crisi del settore auto europeo «non ha nulla a che fare con la data del 2035», a cominciare dal fatto che se oggi in Europa si vendono tre milioni di auto in meno rispetto al 2019 è dovuto al fatto che le case automobilistiche privilegiano i profitti rispetto ai volumi: «Tra il 2018 e il 2024, il prezzo medio delle auto di fascia media è aumentato del 40%, passando da 22.000 a 30.700 euro» (nel frattempo il reddito reale degli italiani è diminuito del 4,4%, ma questo interessa fino a un certo punto nell’ambito del discorso, visto che nel resto d’Europa è ovunque aumentato con una media del 22%).
Ora, affossare l’obiettivo del 2035 comprometterebbe le centinaia di miliardi già investiti nel settore dei veicoli elettrici – batterie, reti di ricarica, elettronica di potenza, componenti – e andrebbe a colpire la diffusione di auto elettriche che sono già le più economiche da mantenere e stanno rapidamente diventando anche le più economiche da acquistare. «Dietro lo slogan della “neutralità tecnologica” – scrive T&E – si nascondono opzioni molto più costose per gli automobilisti. Le auto ibride plug-in costano in media circa 55.000 euro e comportano un costo aggiuntivo fino a 0,92 euro al litro per i conducenti di veicoli di terza mano rispetto alle auto a benzina. I carburanti sintetici costerebbero da 6 a 8 euro al litro. Anche i biocarburanti avanzati rimarrebbero costosi a causa della loro scarsa disponibilità».
La corsa globale all’elettrificazione è iniziata, sottolinea la rete europea di Ong impegnate nella decarbonizzazione e nella mobilità sostenibile. E ora alcuni governi e l’industria automobilistica europea si stanno precludendo da soli la possibilità di competere a livello globale nel mercato dei veicoli elettrici. «Aggrapparsi alla tecnologia dei motori a combustione del passato significherà vedere il settore rimanere definitivamente indietro. Procedere con cautela nell’elettrificazione non sarà d’aiuto, ma peggiorerà solo le cose».
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