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Auto, l’Unrae chiede chiarezza normativa e boccia l’ipotesi dell’obbligo del 70% “made in Europe”

In attesa del pacchetto che verrà presentato dalla Commissione europea per rilanciare il settore, l’associazione ha tenuto una conferenza stampa sottolineando il fatto che «negli ultimi anni l’Europa ha imposto obiettivi senza investire a sufficienza nei fattori abilitanti»
 |  Trasporti e infrastrutture

Oggi è un giorno decisivo per sapere che strada imboccherà l’Europa per quel che riguarda il settore auto. La Commissione europea sta per presentare un piano di rilancio che però, ormai è praticamente certo, non confermerà lo stop alla vendita di auto alimentate a benzina e gasolio a partire dal 2035. In attesa di conoscere i dettagli che verranno decisi a Bruxelles, oggi l’Unrae ha tenuto la consueta conferenza stampa di fine anno e lanciato un appello urgente affinché sia garantita chiarezza normativa per il settore automotive. «Negli ultimi anni l’Europa ha imposto obiettivi senza investire a sufficienza nei fattori abilitanti», ha detto il presidente dell’associazione che rappresenta le case automobilistiche straniere che operano in Italia, Roberto Pietrantonio. «Le lacune normative di Bruxelles e la scarsa capacità di ascolto verso le case costruttrici hanno collocato imprese e consumatori di fronte a target forse troppo ambiziosi e non supportati da adeguate condizioni. La transizione non è stata accompagnata da una politica industriale europea: questo è il vero punto critico dei target 2035». Il presidente Unrae ha sottolineato che il traguardo della decarbonizzazione resta «imprescindibile» ma, ha aggiunto, «richiede un dialogo più approfondito e basato sui dati, oltre alla comprensione della necessità di intervenire sui fattori abilitanti del tutto fuori dal controllo delle case auto».

L’associazione giudica positivamente la messa da parte dello stop ai motori endotermici dal 2035, mentre esprime contrarietà all’ipotesi di introdurre un target di contenuto minimo obbligatorio del 70% “Made in Europe” per l’incentivazione della domanda. «La competitività non si costruisce alzando muri, ma rafforzando ponti. Un obbligo del 70% rischia di penalizzare i consumatori, indebolire le imprese e rallentare la transizione e minare la competitività dell’auto europea in una fase in cui è indispensabile accelerare».

Nel corso della conferenza stampa, Unrae ha anche sottolineato l’urgenza della riforma del trattamento fiscale delle auto aziendali, definendola «il più grande moltiplicatore di crescita»: «Con una fiscalità allineata alle best practices europee in chiave “verde” – ha osservato Pietrantonio – crescerebbero gli acquisti di auto aziendali green, aumenterebbe la diffusione di veicoli virtuosi e si accelererebbe il ricambio del parco circolante originando un usato di ultima generazione. Ne beneficerebbero ambiente, sicurezza stradale, imprese ed erario».

Nel biennio 2024–2025 il Governo ha infatti stanziato 923,4 milioni di euro per incentivare l’acquisto di autovetture a zero o bassissime emissioni, contribuendo all’immatricolazione di oltre 90.000 auto nella fascia 0–60 g/km. Ma è possibile ottenere risultati superiori con risorse molto inferiori, è stato sottolineato. Secondo le analisi Unrae, con limitati aggiustamenti ai parametri fiscali della deducibilità delle auto aziendali sarebbe sufficiente un impegno di 85 milioni di euro a carico dell’erario (al netto dell’extragettito) per incentivare oltre 100.000 autovetture green nella fascia 0–60 g/km, soddisfare altrettanti dipendenti, accelerare il rinnovo del parco auto e rendere, in pochi anni, l’usato più giovane, più sicuro e più accessibile. Il tutto con minore spesa pubblica e benefici diffusi per cittadini e imprese.

Lo scenario prospettico dell’economia europea e nazionale indica nel 2025 per l’area euro una crescita del Pil a +1,2%, in ulteriore ripresa nel 2026, mentre la debolezza dell’economia italiana porta a stimare, nonostante il sostegno residuo del Pnrr, un incremento ben più modesto sia nel 2025 (+0,5%) che nel 2026 (+0,7%). Nel comparto autovetture, il mercato europeo già due anni fa ha recuperato il segno positivo, che dovrebbe essere confermato anche nel 2025. In Italia, invece, per l’anno in corso l’Unrae prevede un livello di 1,520-1,525 milioni di unità: -2,2% sul 2024 ma ben 400mila unità al di sotto del 2019. Per il 2026 prevede un lievissimo recupero a 1,540 milioni. Per i veicoli commerciali leggeri, dopo un 2025 stimato in calo del 4,4% a 190.000 unità (allineato al 2019), prevede una stagnazione nel 2026. Per i veicoli industriali, infine, la stima per il 2025 è una leggera flessione (-2,5%), mentre la previsione 2026 indica un ulteriore calo del 2,9% a 27.000 unità.

«Il nostro Paese evidenzia un ritardo significativo rispetto ai major market europei per quanto riguarda la diffusione di autovetture ricaricabili, dovuto a molteplici gap nei fattori abilitanti della transizione energetica: penetrazione di auto aziendali, sviluppo delle infrastrutture e prezzi di ricarica», ha sottolineato Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae. «Di conseguenza, ad oggi siamo al di sopra della media Ue e ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi di emissione di CO2. Solo interventi strategici e mirati potrebbero generare un cambio di passo a favore della transizione in Italia».

Nonostante il fuoco di paglia innescato dal bonus rottamazione, l’Italia è fanalino di coda anche per quota di vetture ricaricabili (Bev+Phev): 11,3% vs il 33,4% del Regno Unito, 28,9% della Germania, 25,1% della Francia e 18,9% della Spagna. La sola quota di auto elettriche pure è pari al 5,2% rispetto al 21% degli altri 30 Paesi europei, e ben più bassa di Paesi che presentano un Pil pro capite a parità di potere di acquisto inferiore al nostro, come Portogallo (22,0%), Slovenia (10,4%), Spagna (8,5%) e Ungheria (8,4%), a conferma che i fattori limitanti l’adozione dei veicoli elettrici vanno oltre le sole capacità reddituali.

E nel nostro Paese anche per quanto riguarda i punti di ricarica le cose non vanno bene. Seppure in sostenuta crescita nell’ultimo anno (+24,0%), lo sviluppo delle infrastrutture pubbliche di ricarica inchioda l’Italia al 16° posto con 13,6 punti per 100 km di strada verso i 20,4 della media europea. I dati al 30 settembre indicano per il nostro paese circa 67mila punti complessivi, di cui 1/5 con potenza di ricarica ≥ 50 kW.

Redazione Greenreport

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