Gli «squilibri nelle retribuzioni» frenano lo sviluppo sostenibile. Il presidente Mattarella denuncia che «alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid, non è corrisposto l’incremento dei salari reali»
Si è svolta al Palazzo del Quirinale la cerimonia di consegna delle Stelle al Merito del Lavoro per l'anno 2025, a valle della quale il Capo dello Stato ha pronunciato un incisivo discorso per ricordare che «la piena occupazione è un orizzonte che oltre la dignità riguarda la libertà. Un’occupazione che, come recita l’art.36 della Costituzione, deve assicurare ad ogni lavoratore “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Questo è quanto prescrive la nostra Costituzione».
Eppure, l’Italia non sta rispettando la propria Costituzione, a causa di «squilibri nelle retribuzioni» sempre più pressanti che ampliano le disuguaglianze nella nostra società, minandone alla base la coesione.
«Ne nasce un aspetto a cui non si può sfuggire – argomenta nel merito Mattarella – quando tante famiglie sono sospinte sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti, mentre invece super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro certifica che la quota di reddito da lavoro (ovvero la quota del PIL dedicata ai lavoratori, destinata alle loro retribuzioni) è scesa a livello mondiale in misura significativa dal 2014 al 2024. È un tema che la Banca Centrale Europea segnala anche per l’Italia: alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid, non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali, mentre risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni fra i dirigenti».
In Italia oggi ci sono, certifica l’Istat, oltre 5,7 milioni di persone in povertà assoluta, mentre 13,5 milioni – quasi un quarto della popolazione totale – sono quelle a rischio povertà o esclusione sociale. Le politiche messe in campo dal Governo Meloni stanno continuando ad ampliare le disuguaglianze di reddito, vedendo come concausa anche l’inefficacia del mondo sindacale di guidare i lavoratori a salari migliori, attraverso un sano conflitto sociale; la potente capacità di mobilitazione che i sindacati hanno saputo accompagnare in occasione delle manifestazioni a sostegno della causa palestinese – che nelle scorse settimane hanno portato in piazza oltre 2 milioni di italiani –, purtroppo non si ritrova in campo socioeconomico.
Oggi il declino dell’Occidente si concentra nella classe lavoratrice e nel ceto medio – con particolare evidenza in Italia, dove i salari reali sono in calo dal 1990 e in modo particolarmente marcato dal 2008 – mentre aumentano le disuguaglianze a favore dei super-ricchi, che sono i maggiori responsabili della crisi climatica in corso. Come i fascismi del secolo scorso, oggi i partiti di estrema destra difendono l’élite ma si presentano come forze politiche anti-sistema sfruttando il comprensibile risentimento dei più poveri. Come se ne esce?
«Non è facile, ma iniziare a parlarne apertamente mi sembra un passo necessario per cercare insieme una soluzione – spiega a greenreport Jacopo Custodi, ricercatore in scienze politiche presso la Scuola Normale Superiore e docente di politica comparata alla sede italiana della Georgetown University – Partiamo dal dire che in realtà la maggior parte del voto delle classi popolari non va né a destra né a sinistra, ma nell’astensione. Alle ultime elezioni europee in Italia, tre persone su quattro a basso reddito non hanno votato. Resta vero, però, che in molti Paesi occidentali, tra cui l’Italia, la destra riesce comunque meglio della sinistra a raccogliere voti tra le classi popolari e a costruire un’identificazione con esse. L’identificazione che costruiscono è però tutta in termini culturali, e questo mi sembra un punto chiave da tenere presente: la destra crea identificazione sul terreno delle preferenze culturali e valoriali, non su quello delle condizioni materiali di vita. E questo è completamente diverso da quello che faceva la sinistra, che storicamente ha definito e rappresentato la classe operaia in base alla sua posizione nei rapporti di produzione, sul piano economico e del lavoro, non su quello culturale. Il problema è che la sinistra ha da tempo smesso di svolgere questa funzione e ciò ha probabilmente favorito la destra, facilitandone il tentativo di costruire nuove forme di identificazione con le classi popolari abbandonate. Forse, se la sinistra tornasse a rappresentare i lavoratori sul piano socioeconomico, si ridurrebbe la capacità della destra di insinuarsi nel mondo del lavoro».
Al contempo, le crisi ambientali si confermano dunque acceleratori di disuguaglianze, e non solo nei Paesi a minor reddito, dove il numero assoluto di poveri colpiti dal problema è ovviamente maggiore. Sebbene il numero assoluto di persone povere nei Paesi a reddito medio-alto sia più basso in termini relativi, queste «sono fortemente esposte ai pericoli climatici. Circa il 91,1% di loro (93 milioni di persone) affronta almeno un pericolo climatico – dettaglia un recente rapporto Onu – L’inquinamento atmosferico e le inondazioni rappresentano le minacce più diffuse: rispettivamente, il 63,0% (64 milioni) e il 47,4% (48 milioni) delle persone povere ne sono colpite. Si osservano schemi simili in relazione ai livelli di sviluppo umano. Nei Paesi con sviluppo umano basso o medio, il 77,8% di tutte le persone povere (792 milioni) è esposto ad almeno uno dei quattro pericoli climatici. Nei Paesi con sviluppo umano elevato, circa l’88,2% di tutte le persone povere (94 milioni) subisce un’esposizione di questo tipo».
Che fare, dunque? Per ripristinare la fiducia nelle istituzioni e la coesione sociale, occorre dimostrare che il sistema socioeconomico sul quale si basano è in grado di portare benefici al 99% dei cittadini, redistribuendo le ingenti risorse presenti. Secondo Oxfam, un'imposta patrimoniale a livello europeo fino al 5% per milionari e miliardari potrebbe generare 286,5 miliardi di euro all'anno, da poter impiegare per servizi pubblici e investire nella transizione ecologica. Anche in Italia, il 7% più ricco ha un'aliquota fiscale effettiva media del 32,5% sul proprio reddito, rispetto al 50% della persona media: il sistema fiscale italiano è regressivo (in barba all’articolo 53 della Costituzione), mentre se fosse applicata una patrimoniale anche solo all’1% più ricco – cioè a chi possiede almeno 1,7 milioni di euro di patrimonio – si otterrebbe un gettito addizionale di circa 30 miliardi di euro, per finanziare il green deal e migliorare la coesione sociale.