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L’acqua santa. Il Pontefice «attento e interessato» al Forum Euromediterraneo 2026, presentato dal comitato One water

 |  Editoriale

Si avvicina a grandi passi il Forum euromediterraneo dell'acqua, che si svolgerà presso la Nuvola dell’Eur (a Roma) dal 29 settembre al 2 ottobre del 2026 con delegazione da 43 Stati europei e mediterranei. Dopo la recente presentazione alla Fao a cura del ministro Tajani e la Conferenza internazionale sulla riduzione dei rischi da alluvioni e siccità svoltasi a Firenze, il Forum è stato appena presentato in Vaticano a Papa Leone XIV, a margine di un’udienza giubilare che ha coinvolto la presidente del comitato promotore One water, Maria Spena, il vicepresidente, Marco Rago, insieme a una delegazione del comitato e l’assessora ai Lavori pubblici e alle Infrastrutture di Roma Capitale, Ornella Segnalini.

«Ho trovato il Santo Padre attento e interessato ad un’iniziativa – spiega Spena – che ha l’ambizione di concretizzare il suo recente auspicio a ‘passare dal raccogliere dati al prendersi cura’ e ‘da discorsi ambientalisti a una conversione ecologica che trasformi lo stile di vita personale e comunitario’. Questo è ciò che puntiamo a fare affrontando un tema di vitale importanza in termini generazionali mediante il coinvolgimento di attori accademici, scientifici, imprenditoriali, sociali e politici. L’incoraggiamento del Papa sprona il Comitato a investire sempre più energie nella buona riuscita del Forum Euromediterraneo del 2026».

La gestione sostenibile dell’acqua è un fronte su cui l’Italia in primis è chiamata ad agire con lungimiranza, a causa della crisi climatica in corso e di infrastrutture inadeguate ad affrontarla. Secondo i dati messi in fila dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), nell’ultimo anno quasi il 50% dell’Italia (prevalentemente sud Italia e isole maggiori) è stato colpito da siccità, mentre al nord è piovuto il 40% in più rispetto alla media.

L’acqua di per sé non manca – sebbene il trend della disponibilità idrica sia decrescente –, ma il problema è che le precipitazioni sono sempre più concentrate nel tempo e nello spazio. Per rendere la complessità della situazione, da anni circolare il dato per cui in Italia raccoglieremmo solo l’11% dell’acqua piovana, ma si tratta di un’approssimazione mediatica che non rispecchia la realtà dei fatti.

Quel che sappiamo è che lungo lo Stivale le precipitazioni annue valgono in media 296 mld mc l’anno nel periodo 2010-2023, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) sulla base dei dati forniti dal modello Big-bang dell’Ispra, e nel 2024 le precipitazioni sono arrivate a 319 miliardi di metri cubi. E anche nel 2050 le precipitazioni non dovrebbero essere diverse rispetto a quelle del 1951: -4,4%.

Sottraendo dal valore delle precipitazioni quello dell’evapotraspirazione (in forte aumento a causa del riscaldamento globale) il dato si riduce oggi a circa 140 mld mc/a, ovvero la disponibilità idrica (internal flow), mentre i prelievi idrici per uso antropico si fermano a 34. Considerando anche i fabbisogni per la vita ecologica di fiumi e laghi ad oggi l’Italia vanta un surplus idrico stimato in 63,6 mld mc/a, che nel 2050 dovrebbe ridursi a 35,5 mld mc/a. Quasi dimezzato, ma comunque un surplus.

Che fare? Serve un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. In Italia spendiamo 7 mld di euro all’anno di risorse pubbliche e da tariffa per la gestione di tutti gli aspetti idrici, mentre ne servirebbero 10 in più, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Ewa, che fa parte del comitato One water; volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni). Al contempo occorre migliorare il contributo dell’Italia alla decarbonizzazione, perché in un pianeta in surriscaldamento continuo la disponibilità idrica non potrà che continuare a diminuire.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.