
Quali servizi idrici nelle aree costiere? La sfida dell’acqua in crisi climatica, vista dal mare toscano

All’interno del nutrito programma della Biennale del mare e dell’acqua “Blu Livorno”, Palazzo Pancaldi ha ospitato ieri il convegno dei gestori idrici toscani dedicato ai “servizi idrici nelle aree costiere”, promosso da Asa spa, da Cispel Toscana e Ti Forma.
Dopo i saluti istituzionali del sindaco di Livorno Salvetti e del presidente di ASA Taddia, il convegno è entrato nel vivo con la prima relazione di Stefano Terzigni di Istat, che ha ricordato il lavoro che da decenni l’Istituto statistico nazionale svolge per raccogliere ed elaborare i dati sull’acqua in Italia.
I dati dei prelievi e dei consumi a scala nazionale sono molto diversi da quelli locali. In Italia si estraggono 30,4 miliardi di metri cubi, per il 56% destinati all’agricoltura, per il 31% alla potabilizzazione, per il 13% all’industria. Nel Distretto Appennino settentrionale invece i valori cambiano radicalmente: per l’agricoltura si usa l’11,8% dell’acqua estratta, per i servizi potabili il 56,4%, per l’industria il 31,8%. Una situazione molto particolare che riguarda anche la Toscana, con un basso livello di agricoltura (rispetto alla Pianura padana).
I prelievi per usi potabili sono in Italia pari a circa 9 miliardi di metri cubi, derivanti a 37.000 punti di prelievo, prevalentemente da acque sotterranee. L’Italia è uno dei Paesi europei che ha estrazioni procapite fra le più alte (peggio di noi solo Grecia e Irlanda), dato però condizionato dal fatto che abbiamo una percentuale di perdite di rete molto alta e quindi attingiamo molto per garantire un livello di acqua per i consumatori normale. Le perdite di rete medie sono pari al 42,4% del totale acqua immessa, anche se in riduzione.
Mario Cerroni, ricercatore Iss e collaboratore del Censis ha fatto il punto sugli aspetti sanitari della gestione dell’acqua potabile, che sono importanti quanto gli aspetti ambientali. La norma di recepimento della recente direttiva europea sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, indica la strada della gestione del rischio con le analisi sui punti di captazione da parte delle agenzie ambientali e territoriali, le analisi delle acque potabili che invece spetta ai gestori con i Piani di sicurezza delle acque, obbligatori dal 2029 ma testati già da un decennio di piani di sicurezza volontari. Poi ci sono le responsabilità della parte privata delle reti (ospedali, scuole, strutture pubbliche) per la parte finale del ciclo.
Il nuovo quadro normativo rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma: da un elenco di contaminanti da tenere sotto controllo ad un sistema di prevenzione e gestione del rischio potenziale, olistico e multidisciplinare. Secondo Iss i Piani di sicurezza devono essere sito specifici, e focalizzarsi sui rischi particolari di quella zona, per questo la analisi si è concentrata sulle criticità aree costiere, come indica il tema del Convegno. Nelle aree di costa ci sono problemi particolari: prima di tutto la presenza di fiumi e foci, con possibile maggiore concentrazione di inquinanti, che arrivano dalle aree urbane, ed effetti delle alluvioni. Poi il fenomeno dell’intrusione di acqua salina (ma nolo solo cloruri, ma metalli pesanti). C’è poi la presenza di porti e navigazione con i rischi connessi, le stesse mareggiate possono produrre effetti inquinanti. Ci sono poi i rischi della presenza di attività agricole intensive nelle aree pianeggianti prossime al mare con la diffusione di pesticidi e fertilizzanti.
E i cambiamenti climatici sono destinati a aggravare problemi già esistenti: le alluvioni possono inquinare le acque superficiali e sotterranee, la siccità poi riduce la capacità di diluizione degli inquinanti nelle falde. Le onde di calore indicono problemi specifici (sviluppo algale, sviluppo batterico/legionella) e rischiano di produrre interruzioni di servizio. L’Istituto superiore di sanità stima la redazione di oltre 10.000 Psa nei prossimi anni, scadenza obbligatoria il 2029 e attivazione del portale del Censis da fine 2025.
Andrea Cappelli di Ait ha fatto il punto sulla Toscana. Sempre più frequenti le siccità (2003 2007, 2012, 2017, 2022) e si stanno verificando ondate di calore negli ultimi anni che fino al 2000 non c’erano. Le precipitazioni come quantità non cambiano, ma cambia l’intensità con fenomeni concentrati e acqua che rapidamente se ne va via rapidamente, quindi meno risorsa quando serve, troppa risorsa quando piove.
Per Ait il Green deal europeo e la Tassonomia Ue restano il punto di riferimento e la bussola per i prossimi anni. Il Pniissi è uno strumento interessante che reintroduce la pianificazione con la priorità ambientale, in Italia. Toscana in testa alla classifica dei progetti con 600 milioni di investimenti potenzialmente finanziabili, ma solo in parte finanziati. Anche il Pnrr sta dando una mano, con 400 milioni di euro di contributo su 440 milioni di parco progetti.
Cappelli poi ha accennato alle nuove sfide dalla regolazione che punta a ridefinire il perimetro del servizio idrico integrato, estendendolo alle acque meteoriche e al riuso dell’acqua. Arera ha anche introdotto un indicatore tariffario (Mzero) che chiede ai gestori del servizio di valutare il rischio di approvvigionamento, quindi la resilienza idrica complessiva.
C’è un problema di Governance per la gestione integrata di tutta l’acqua. Oggi coordinamento volontario ma si deve evolvere verso una Governance integrata. Il direttore di Asa spa Brilli ha illustrato i risultati della società che ha sensibilmente i consumi ed i prelievi, ha interconnesso e punta ad avviare nel 2026 il nuovo dissalatore dell’Isola d’Elba, oltre ad altri progetti tesi a ridurre i prelievi di falda, sempre più contaminata dai cloruri.
La mattina si è conclusa con una tavola rotonda dei presidenti dei gestori idrici toscani. Giovanni Piccoli, coordinatore del settore acque reflue di Utilitalia, ha nel pomeriggio fatto il punto sulla direttiva Acque reflue, che attiva una vera e propria rivoluzione di settore, con una time line lunga che arriva al 2045.
Entro il 31 dicembre 2035 la nuova direttiva amplia l’obbligo di dotare di fognatura e depurazione gli agglomerati fino a 1000 abitanti e dotare tutti gli impianti di depurazione di trattamenti secondari. Per gli impianti che gestiscono aree oltre 150.000 abitanti e per gli impianti in aree sensibili, la direttiva pone il vincolo di dotarsi di trattamenti terziari.
Sfide che comportano un grande piano di adeguamento delle infrastrutture, con investimenti rilevanti, stimati in 5 miliardi di euro di investimento e costi operativi aggiuntivi di 15 milioni di euro all’anno. Si punta alla gestione integrata delle acque reflue, considerando quindi accanto al sistema fognario anche il sistema delle acque meteoriche.
La Direttiva poi introduce una maggiore attenzione ai nuovi micro inquinanti emergenti (12 inquinanti farmaci, pesticidi, microplastiche e Pfas) con la richiesta di migliorare la capacità di depurazione, con i trattamenti quaternari entro il 31 dicembre 2045. Ma i trattamenti per la rimozione di questi particolari inquinanti sono complessi e costosi, e la direttiva mette in campo la responsabilità estesa del produttore, ovvero i costi di trattamento saranno coperti dalle industrie della cosmetica e della farmaceutica.
Infine la Direttiva punta alla neutralità carbonica con un obiettivo al 31/12/2033 di utilizzo integrale di fonti rinnovabili.
