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Arrivano nuove prove da stalagmiti in una grotta nello Yucatán settentrionale

È stata la siccità a provocare il collasso della civiltà Maya

James (Università di Cambridge): «Abbiamo iniziato a scoprire molto su cosa accadde ai Maya e perché, combinando i dati archeologici con prove climatiche quantificabili»
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‘Dome of the Cathedral’, the largest chamber in the Grutas Tzabnah cave system (Yucatán). Credit: Mark Brenner

Oltre mille anni fa, nel periodo “Classico terminale”, i grandi centri urbani Maya allora presenti nelle pianure meridionali della penisola dello Yucatán sperimentarono uno sconvolgimento sociopolitico, seguito dal progressivo spopolamento e abbandono dei siti: il fulcro di una delle più grandi civiltà del mondo antico si spostò a nord ma perse gran parte del suo potere politico ed economico. Fu il collasso della civiltà Maya, finora rimasto avvolto nel mistero. Ma un nuovo indizio per contribuire a risolverlo arriva adesso da un nuovo studio pubblicato su Science Advance e guidato dall’Università di Cambridge, in parte finanziato dalla National Geographic Society e dal Leverhulme Trust.

«Questo periodo della storia Maya è stato fonte di fascino per secoli», spiega l'autore principale dello studio, Daniel H. James, che ha condotto la ricerca mentre era dottorando presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge: «Sono state formulate diverse teorie sulle cause del collasso, come il cambiamento delle rotte commerciali, la guerra o una grave siccità, basate sulle prove archeologiche lasciate dai Maya. Ma negli ultimi decenni, abbiamo iniziato a scoprire molto su cosa accadde ai Maya e perché, combinando i dati archeologici con prove climatiche quantificabili».

A partire dagli anni '90, i ricercatori hanno iniziato a mettere insieme i dati climatici con quelli lasciati dai Maya, come le date registrate sui monumenti più importanti, per dimostrare che una serie di periodi di siccità verificatisi durante il Classico terminale (~800-1000 d.C.) ha probabilmente contribuito al massiccio sconvolgimento socio-politico nella società Maya.

Ora, James e i suoi coautori provenienti da Regno Unito, Stati Uniti e Messico hanno utilizzato le impronte chimiche contenute nelle stalagmiti – concrezioni calcaree che si formano quando gocce d’acqua precipitano dal soffitto di una grotta e i minerali in esse contenuti si accumulano formando una colonna – presenti in una grotta nello Yucatán settentrionale, per mettere a fuoco molto più chiaramente queste siccità.

Un'analisi dettagliata degli isotopi di ossigeno nelle stalagmiti ha permesso al team di ricercatori di determinare i livelli di precipitazione per le singole stagioni umide e secche tra l'871 e il 1021 d.C. In base a questi dati, è emerso che si sono verificati otto periodi siccitosi della durata di almeno tre anni, con la siccità più lunga che si è prolungata per ben 13 anni. Pur a fronte delle avanzate tecniche di gestione delle acque adottate dai Maya, i ricercatori pensano che una siccità così lunga abbia avuto inevitabilmente un grande impatto sulla loro società.

Questi dati climatici sono in linea con le prove storiche e archeologiche esistenti: la costruzione di monumenti e l'attività politica in diversi importanti siti Maya del nord, tra cui la famosa città di Chichén Itzá, si sono interrotte in momenti diversi durante questo periodo di stress climatico.

«Ciò non significa necessariamente che i Maya abbandonarono Chichén Itzá durante questi periodi di grave siccità, ma è probabile – argomenta James – che avessero cose più immediate di cui preoccuparsi rispetto alla costruzione di monumenti, come ad esempio se le colture su cui facevano affidamento avrebbero avuto successo o meno». Dunque, l’ulteriore studio delle stalagmiti di questa e di altre grotte della regione potrebbe fornire indizi essenziali per ricostruire il puzzle del periodo Classico terminale che ha portato al collasso della gloriosa società Maya.

Redazione Greenreport

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