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La (terza) rivoluzione di ottobre del Kirghizistan

Il Kirghizistan nel caos istituzionale. Proseguono gli scontri a Biskek e si divide anche l’opposizione
 |  Approfondimenti

Dopo la rivolta di piazza contro i risultati delle elezioni del 4 ottobre, che hanno provocato almeno un morto e più di 900 feriti,  il 6 ottobre la Commissione elettorale centrale del Kirghizistan ha annullato le elezioni parlamentari. Dalle elezioni, alle quali avevano partecipato il 56,2% degli aventi diritto, visto lo sbarramento al 7% che vige nel Paese ex sovietico, era venuto fuori un Parlamento costituito da rappresentanti di solo 4 Partiti: Birimdik (24.52%), Mekenim Kirghizistan (23.89%), Kirghizistan (8.73%) e Butun Kirghizistan (7.11%), con la riconferma dell’attuale governo. Un risultato subito considerato truccato da migliaia di sostenitori dei 12 Partiti che non avevano superato lo sbarramento e che non si sono limitati a chiedere l’annullamento delle elezioni ma hanno preso d’assalto i palazzi del potere e le carceri dove erano imprigionati i dissidenti politici. Ma non si tratta di una delle tante rivoluzioni "arancioni" anti-russe che preoccupano tanto Mosca, visto che tra i manifestanti non manca chi innalza bandiere dell’epoca sovietica e ritratti di Lenin. In alcuni quartieri della capitale si sono formate milizie locali per evitare saccheggi.

Il presidente del Kirghizistan, Sooronbái Jeenbekov, che il 5 ottobre parlava di rivolta sediziosa di chi voleva ribaltare nelle piazze il risultato di elezioni democratiche, il giorno dopo ha chiesto di annullare il voto e convocare nuove elezioni, ma era già troppo tardi, perché l’ennesima rivoluzione kirghisa era già in atto e gli scontri tra manifestanti, polizia e fedeli del regime infiammavano la capitale e il resto del Paese. In quello che è il più instabile Paese dell’Asia Centrale, crocevia di traffici e porta con l’instabile Afghanistan e gli Stati petroliferi ex sovietici e la Cina, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, rivolte di piazza hanno destituito i presidenti Askar Akeyev nel 2005 e Kurmanbek Bakiyev nel 2010.

Di fronte alla folla inferocita, si è dimesso il primo ministro Kubatbek Boronov ed è stato rimpiazzato da Sady Japarov, uno dei capi dell’opposizione che era in prigione dal 2013, dove scontava una pena di 11 anni e mezzo per sedizione e presa di ostaggi, liberato dai rivoltosi insieme all'ex presidente socialdemocratico Almazbek Atambayev, che scontava una pena a 11 anni di prigione per corruzione e i cui sostenitori sembrano alla testa delle proteste. La Corte suprema del Kirghizistan ha subito annullato le condanne dei due leader dell’opposizione.

Si sono dimessi anche il presidente del Parlamento – sostituito subito dall’oppositore Miktibek Abdildaiev - il sindaco di Biskek, i governatori di 4 regioni e molti alti funzionari fedeli al regime, Gruppi d'opposizione hanno preso il controllo del Parlamento e il presidente della Repubblica Jeenbekov ha detto alla BBC  di essere «pronto a dare la responsabilità a leader forti», chiedendo però che si ritorni al rispetto della legge. Ma per lui probabilmente è già tardi, visto che i gruppi di opposizione hanno avviato le procedure per la sua destituzione che richiederà però almeno tre mesi di tempo.

La Russia, la Cina, l’Onu e l'Unione europea hanno espresso preoccupazione per quanto sta succedendo in Kirghizistan e hanno ragioni da vendere: fino a ieri polizia ed esercito erano ancora fedeli al presidente  Jeenbekov, ma le opposizioni occupano ormai tutte le altre istituzioni e il neo-premier Japarov conta sull’appoggio del Consiglio di coordinamento formato dalle opposizioni, ma che si è già diviso, visto che diversi Partiti hanno creato un secondo Consiglio di coordinamento per governare il Kirghizistan.

Il 6 ottobre il ministero degli esteri russo aveva annunciato la linea morbida di Mosca chiedendo una «soluzione negoziata e pacifica alla crisi che si è creata in Kirghizistan», con un richiamo a «tutte le forze politiche in questo momento critico perché la Repubblica mostri saggezza e responsabilità al fine di preservare la stabilità e la sicurezza interne». La Russia considera da sempre il Kirghizistan un suo alleato strategico .

Ieri il presidente russo Vladimir Putin, intervistato da Rossiya 24, ha detto di essere in contatto con tutte le parti in conflitto e di sperare che «Una volta che si sarà normalizzata la situazione politica interna, continueremo a implementare tutti i nostri piani con il Kirghizistan, tenendo conto che il Kirghizistan è membro dell’Unione Economica Euro-asiatica  e che abbiamo fatto molto lavoro insieme».

Se non è una benedizione alla nuova rivoluzione d’ottobre Kirghisa, poco ci manca.

Redazione Greenreport

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