Ecco come l’economia di guerra della Russia è alimentata dai combustibili fossili
C’è l’oppressione statale, certamente. E c’è l’aggressione sanguinosa, sicuramente. Ma c’è un terzo elemento che sta alimentando in modo considerevole, come e anche più degli altri due, l’economia di guerra della Russia: il perdurante acquisto da parte di altri Stati di combustibili fossili venduti da Mosca.
A evidenziare la “troika” composta da estrazione di combustibili fossili, autoritarismo e militarismo al centro del regime russo è un report appena diffuso da Greenpeace international dal titolo “Fossil Fuel Empire: The Environment of Post-2022 Russia and the Kremlin's Threat to Domestic and Global Stability and Sustainability” (L'impero dei combustibili fossili: l'ambiente della Russia post-2022 e la minaccia del Cremlino alla stabilità e alla sostenibilità nazionale e globale). È il primo del suo genere ad analizzare sistematicamente le trasformazioni nella governance ambientale, nella politica climatica, nella biodiversità e nelle dimensioni socioeconomiche e politiche della Russia, e come sottolinea l’associazione rappresenta una pietra miliare nella resistenza del movimento ambientalista all'oppressione statale.
Basandosi su centinaia di fonti raccolte al di fuori della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e la repressione post-2022, è anche il primo a «riunire dati sparsi in un quadro coerente, rivelando la situazione disperata di un Paese in cui le sanzioni economiche, la corruzione dilagante, il sabotaggio delle convenzioni internazionali e la dipendenza radicata dai combustibili fossili stanno causando devastazioni in Ucraina, Russia e oltre». Mads Christensen, direttore esecutivo di Greenpeace international, ha dichiarato: «L'importanza di questo rapporto innovativo non può essere sottovalutata. Esso arriva in un momento in cui i regimi belligeranti tentano di ignorare completamente il diritto internazionale e le salvaguardie ambientali e di mettere a tacere il dissenso con la repressione e la paura. Ma anche sotto una repressione brutale, la solidarietà cresce, e con essa la resistenza».
Frutto del lavoro di innumerevoli esperti di clima, biodiversità e politica russi, questo rapporto approfondisce i numerosi impatti del petro-Stato militarista di Putin: dalla sovversione e dall'elusione delle sanzioni internazionali, al sabotaggio delle convenzioni internazionali, fino al sequestro militare e alla militarizzazione della più grande centrale nucleare d'Europa a Zaporizhzhia, che rappresenta una minaccia per l'intero continente.
Il rapporto delinea il modo in cui la Russia promuove la sua agenda estrattivista nei forum internazionali, tra cui l'Unfccc, il Brics+, l'Unesco e il Forum Asia-Pacifico sullo sviluppo sostenibile, «e utilizza anche la sua cosiddetta industria nucleare “atomica pacifica” come leva di influenza su oltre 50 paesi con cui ha ora accordi sull'energia nucleare e come mezzo per trasformare in armi le infrastrutture nucleari all'estero, oltre ai probabili crimini di guerra a Zaporizhzhia».
I finanziamenti esteri provenienti dalle esportazioni di combustibili fossili e altre risorse come il legname hanno alimentato il bilancio bellico della Russia e rafforzato il suo comportamento distruttivo, denuncia Greenpeace. Sebbene le sanzioni internazionali abbiano avuto un certo effetto, molti paesi continuano ad acquistare petrolio e gas russi, con una “flotta ombra” di petroliere obsolete e non sicure che eludono le sanzioni e trasportano le esportazioni, aumentando drasticamente il rischio di incidenti e fuoriuscite di petrolio. Tuttavia, nonostante la repressione diffusa e sistematica del dissenso interno, l'ambiente rimane uno dei pochi temi che suscitano un interesse pubblico costante in Russia e continuano a generare proteste, compreso il confronto diretto. Mads Christensen ha aggiunto: «I governi e le élite al potere hanno attaccato Greenpeace e i nostri alleati del movimento per decenni. Quarant'anni fa, agenti del governo francese hanno bombardato una nave di Greenpeace per aver protestato contro i test nucleari. Dodici anni fa, le forze speciali russe hanno assaltato un'altra nave nell'Artico e arrestato l'equipaggio, noto come “Arctic 30”. E nel 2023, il Cremlino ha chiuso Greenpeace in Russia, ponendo fine a una storia trentennale di difesa dell'ambiente, dei diritti umani e della pace. Ma non ci siamo arresi e siamo diventati più forti. Allora come oggi, continuiamo a dire la verità su coloro che saccheggiano il pianeta per profitto e potere».