
Oltre la metà delle specie marine rischia l'estinzione entro il 2100

Con l’innalzamento delle temperature marine, il collasso delle barriere coralline, il crollo degli stock ittici e l’inquinamento da plastica fuori controllo, gli oceani si avvicinano rapidamente al punto di non ritorno. Secondo le stime Onu, oltre la metà delle specie marine rischia di scomparire entro la fine del secolo, se non si agisce con urgenza.
Per questo, dal 9 al 13 giugno, la città francese di Nizza ospiterà la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani (UNOC3), presieduta congiuntamente da Francia e Costa Rica. L’incontro riunisce capi di Stato, scienziati, rappresentanti del mondo economico e della società civile con un compito chiaro: trasformare la consapevolezza in azione.
«L'oceano sta affrontando una crisi senza precedenti a causa del cambiamento climatico, dell'inquinamento da plastica, della perdita di ecosistemi e dell'uso eccessivo delle risorse marine» – ha dichiarato Li Junhua, sottosegretario generale dell’Onu e segretario della conferenza – «Ci auguriamo che la conferenza ispiri un'ambizione senza precedenti, partnership innovative e forse una sana competizione».
Gli oceani assorbono oltre il 90% del calore in eccesso derivante dalle emissioni di gas serra e producono metà dell’ossigeno che respiriamo. Eppure, l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14 (“Vita sott'acqua”) è quello che riceve meno finanziamenti tra tutti i 17 SDGs delle Nazioni Unite.
Secondo le stime Onu, il costo per proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini nei prossimi cinque anni si aggira intorno ai 175 miliardi di dollari all’anno, ma «tra il 2015 e il 2019 sono stati stanziati meno di 10 miliardi di dollari», ha osservato Li, aggiungendo che serve «spostare i finanziamenti per l’oceano dal rivolo al torrente».
Nel frattempo, le temperature globali della superficie del mare hanno raggiunto ad aprile il secondo livello più alto di sempre per quel mese, e si sta registrando il più esteso sbiancamento dei coralli mai registrato nella storia, che colpisce Caraibi, Oceano Indiano e Pacifico.
A dieci anni dall’Accordo di Parigi sul clima, UNOC3 intende mettere l’oceano al centro dell’azione climatica, non come ripensamento, ma come priorità. L’obiettivo è anche quello di far sentire le voci più vulnerabili e spesso escluse, come quelle delle donne, delle popolazioni indigene, dei pescatori e delle comunità costiere. «Questi gruppi sono i primi a subire gli impatti del cambiamento climatico e del degrado degli oceani» – ha sottolineato Li – «Ma sono anche leader e risolutori di problemi, quindi è necessario dare loro potere».
Il piano è ambizioso: rafforzare la cooperazione internazionale, promuovere nuove economie blu sostenibili, contrastare la pesca illegale e ridurre drasticamente la plastica in mare.
Il vertice culminerà con l’adozione di una dichiarazione politica e del Nice ocean action plan, in allineamento con il Quadro globale sulla biodiversità Kunming-Montreal, che punta a proteggere il 30% degli ecosistemi marini entro il 2030.
«La bozza di dichiarazione politica, guidata da Australia e Capo Verde, si concentra sulla conservazione degli oceani e sulle economie sostenibili basate sugli oceani e include misure concrete per accelerare l'azione», ha anticipato Li.
Nizza non è solo una sede simbolica: il Mediterraneo è un hotspot climatico, si riscalda del 20% più velocemente della media globale. La speranza è che il Nice ocean action plan non resti un documento programmatico, ma diventi una spinta concreta per politiche vincolanti, finanziamenti adeguati e azioni collettive. La domanda che sale con la marea è chiara, ma inquietante: il mondo può ancora cambiare rotta?
