Copernicus, il terzo luglio più caldo di sempre non è una pausa per la crisi climatica
Il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, Copernicus, col suo servizio per il cambiamento climatico (C3S) informa che quello appena trascorso è stato il terzo luglio più caldo mai registrato a livello globale, con una temperatura media dell'aria superficiale a +0.45°C al di sopra della media del periodo climatologico di riferimento 1991-2020 e di ben +1.25°C superiore alla media stimata per il periodo compreso tra il 1850 e il 1900 utilizzata per definire il livello preindustriale.
Ciò non toglie che il periodo di 12 mesi compreso tra agosto 2024 e luglio 2025 sia stato di 1.53 °C superiore al livello preindustriale, sfondando dunque il primo muro di sicurezza individuata dall’Ipcc nell’Accordo di Parigi sul clima (ovvero +1,5 °C al 2100, rispetto all’era pre-industriale); un superamento per ora “solo” temporaneo, dato che avremo definitivamente infranto questo limite quando l’anomalia di temperatura sarà oltre +1,5°C in modo “stabile”, ovvero per almeno 3-5 anni.
Intanto la temperatura media registrata nel continente europeo nel mese di luglio 2025 è stata di 21.12 °C, 1.30 °C superiore alla media del periodo compreso tra il 1991 e il 2020 per lo stesso mese – rendendo luglio il quarto mese più caldo mai registrato –, confermando che la crisi climatica corre a velocità più che doppia in Europa rispetto al resto del mondo.
«Due anni dopo il luglio più caldo mai registrato, la recente serie di record di temperatura globale è terminata, almeno per ora. Ma questo – spiega Carlo Buontempo, direttore del C3S di Copernicus – non significa che il cambiamento climatico si sia arrestato. Abbiamo continuato ad assistere agli effetti del riscaldamento globale in eventi quali il caldo estremo e le inondazioni catastrofiche di luglio. Se non stabilizziamo rapidamente le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera, dovremo aspettarci non solo nuovi record di temperatura, ma anche un aggravamento di questi impatti, e dobbiamo prepararci a questo».
Eppure l’Italia non è affatto pronta. Sia sul fronte della mitigazione – con le nuove installazioni di impianti rinnovabili che stanno rallentando a causa delle ampie difficoltà normative, anziché accelerare –, sia su quello dell’adattamento. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è di fatto fermo al palo: approvato nel gennaio 2024 dal Governo Meloni dopo lunghissima gestazione, ha individuato 361 azioni settoriali da mettere in campo ma manca di fondi e governance per attuarle; per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) – servirebbero 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni).