Uno studio su Nature connette per la prima volta singole aziende fossili a singole ondate di calore
Le emissioni di 180 grandi società dei combustibili fossili e del cemento hanno reso più intense e molto più probabili oltre 200 ondate di calore registrate in tutto il mondo tra il 2000 e il 2023. Non è una semplice accusa lanciata da qualche associazione, ma il risultato a cui sono arrivati dei ricercatori sulla base di un approfondito studio. Poi, certo, le associazioni che si battono contro l’inquinamento e le attività che continuano ad alimentare la crisi climatica lo hanno ripreso, commentato, rilanciato. Ma è il dato in sé che merita grande attenzione.
Le caratteristiche dello studio e i relativi risultati sono leggibili in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature. I ricercatori, coordinati da scienziati del Politecnico federale di Zurigo (ETH Zürich) ma appartenenti a istituti anche americani, tedeschi e francesi, hanno individuato 213 grandi ondate di calore, in quel lasso di tempo, che sono state rese più probabili e più intense a causa delle emissioni di 180 specifiche aziende produttrici di combustibili fossili, tra cui anche l’italiana Eni, e arriva a concludere quanto le emissioni di alcune di queste aziende siano state sufficienti a causare alcune delle ondate di calore studiate. Viene nell’abstract dell’articolo: «Questo lavoro si basa sull'ampliamento di un quadro ben consolidato basato sugli eventi. A causa del riscaldamento globale verificatosi dal 1850 al 1900, la probabilità mediana delle ondate di calore nel periodo 2000-2009 è aumentata di circa 20 volte, mentre nel periodo 2010-2019 è aumentata di circa 200 volte. Nel complesso, un quarto di questi eventi sarebbe stato praticamente impossibile senza il cambiamento climatico. Le emissioni dei principali responsabili delle emissioni di carbonio contribuiscono alla metà dell'aumento dell'intensità delle ondate di calore dal 1850-1900. A seconda del principale produttore di carbonio, il loro contributo individuale è sufficientemente elevato da consentire il verificarsi di 16-53 ondate di calore che sarebbero state praticamente impossibili in un clima preindustriale. Abbiamo quindi stabilito che l'influenza dei cambiamenti climatici sulle ondate di calore è aumentata e che tutti i principali produttori di carbonio, anche quelli più piccoli, hanno contribuito in modo sostanziale al verificarsi delle ondate di calore. I nostri risultati contribuiscono a colmare il vuoto probatorio per stabilire la responsabilità degli eventi climatici estremi storici». L’articolo che dà conto delle metodologie applicate e dei risultati ottenuti è molto dettagliato e ricco di dati, grafici e tabelle. E riveste ulteriore importanza perché i contributi alle emissioni dei singoli attori sono stati soltanto raramente analizzati finora. E, per concentrare lo sguardo sull’Italia, in un documento anch’esso pubblicato online viene specificato che «le emissioni della sola Eni sono state sufficienti a rendere possibili 50 delle 213 ondate di calore analizzate tra il 2000 e il 2023. In altre parole, in un mondo ipotetico in cui esistessero solo le emissioni di Eni, si sarebbero comunque verificati 50 eventi di calore, evidenziando il ruolo significativo del loro contributo individuale al cambiamento climatico. Comprese le ondate di calore del luglio-agosto 2003, agosto 2011, agosto 2018 e giugno 2019 in Italia».
Greenpeace Italia richiama le responsabilità delle aziende inquinanti e chiede che siano loro a pagare per i danni causati dall’aumento delle temperature a cui stanno significativamente contribuendo.
«Da tempo sappiamo con certezza che l'intensificazione delle ondate di calore è una diretta conseguenza della crisi climatica di origine antropica, ma da oggi possiamo anche stimare il contributo e le responsabilità delle aziende più inquinanti, a partire dalle compagnie dei combustibili fossili», dichiara Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. «Questo studio scientifico dimostra che molte delle ondate di calore verificatesi da inizio secolo non sarebbero state possibili senza l’enorme contributo in termini di emissioni delle principali aziende petrolifere, che pertanto devono essere le prime a pagare il costo economico della crisi climatica che stanno causando, anziché farlo ricadere sul resto della società».
A fronte di dati così evidenti, dicono da Greenpeace Italia, le aziende dei combustibili fossili devono essere costrette a pagare per i disastri climatici che stanno contribuendo a provocare mediante l’introduzione di meccanismi specifici come multe o forme di tassazione promosse dai governi. «Da tempo sappiamo con certezza che l'intensificazione delle ondate di calore è una diretta conseguenza della crisi climatica di origine antropica, ma da oggi possiamo anche stimare il contributo e le responsabilità delle aziende più inquinanti, a partire dalle compagnie dei combustibili fossili», dichiara Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. «Questo studio scientifico dimostra che molte delle ondate di calore verificatesi da inizio secolo non sarebbero state possibili senza l’enorme contributo in termini di emissioni delle principali aziende petrolifere, che pertanto devono essere le prime a pagare il costo economico della crisi climatica che stanno causando, anziché farlo ricadere sul resto della società».
A livello globale, quasi 500 mila persone sono morte per il caldo tra il 2000 e il 2019. Molte di queste morti possono essere direttamente attribuite al cambiamento climatico.
A luglio, la Corte internazionale di giustizia, la più alta corte delle Nazioni Unite, ha stabilito che le azioni governative che alimentano il cambiamento climatico sono illegali secondo il diritto internazionale. Di conseguenza, i Paesi - e per estensione le aziende - possono essere ritenuti responsabili degli impatti dei cambiamenti climatici e le persone e le comunità colpite hanno diritto a un risarcimento. Dice Davide Faranda, direttore di ricerca al Cnrs e fondatore di Climameter: «La scienza dell'attribuzione ha trasformato la nostra comprensione degli impatti climatici, mostrando come il riscaldamento globale alteri la probabilità e l'intensità di fenomeni meteorologici estremi. Questo studio aggiunge un nuovo passo fondamentale: collega i punti tra specifici disastri climatici e le aziende le cui emissioni li hanno resi possibili. Questo ponte - dagli eventi meteorologici ai cambiamenti climatici, e dai cambiamenti climatici ai singoli emettitori - sta già ridisegnando il modo di intendere la responsabilità, e potrebbe diventare una pietra miliare per le azioni legali e politiche volte a responsabilizzare gli inquinatori». Osserva Cassidy DiPaola, portavoce della campagna Make Polluters Pay: «Ora possiamo indicare specifiche ondate di calore e dire: “È stata la Saudi Aramco a fare questo. La ExxonMobil ha fatto questo. Shell ha fatto questo”. Quando le emissioni di queste aziende scatenano ondate di calore che altrimenti non si sarebbero verificate, stiamo parlando di persone reali che sono morte, di coltivazioni reali che sono fallite e di comunità reali che hanno sofferto, tutto a causa di decisioni prese nei consigli di amministrazione delle aziende».