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Clima, la Cop30 si avvicina ma la credibilità di governi inizia già a incrinarsi

Per il segretario generale dell’Onu l’obiettivo di limitare l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1,5°C dell’Accordo di Parigi rischia di crollare: serve una risposta globale credibile per rimetterci in carreggiata
 |  Crisi climatica e adattamento

“La scienza esige azione, la legge la impone. Bisogna essere molto più incisivi e molto più veloci”. Con queste parole, il Segretario generale dell’Onu António Guterres ha chiuso il Climate action Summit, lanciando l’ennesimo monito ai governi di tutto il mondo. L’evento, organizzato in concomitanza con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite tenutasi a New York la scorsa settimana, ha ricordato ai Paesi che devono misurarsi con l’urgenza della crisi climatica e con l’insufficienza degli impegni finora messi in campo. Guterres ha sottolineato che l’obiettivo di limitare l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1,5°C dell’Accordo di Parigi “rischia di crollare” e che serve una risposta globale “credibile per rimetterci in carreggiata”.

È in questo quadro che si inserisce il lancio del Tropical forests forever facility (Tfff), il Fondo promosso dal presidente brasiliano Lula da Silva per la conservazione delle foreste tropicali. Il Brasile, che ospiterà la Cop 30 sul clima tra il 10 e il 21 novembre, ha annunciato un contributo iniziale di circa un miliardo di dollari. L’iniziativa ha già ricevuto segnali di sostegno da Cina, Regno Unito, Francia, Germania, Singapore ed Emirati Arabi Uniti, aprendo così la strada a ulteriori finanziamenti pubblici e privati.

In vista della Cop 30, durante il Summit quasi 100 Paesi - responsabili di circa i due terzi delle emissioni globali – hanno presentato nuovi impegni di riduzione delle emissioni, i cosiddetti Ndc (Nationally determined contributions, nel linguaggio dell’Accordo di Parigi). Centrale è stato il richiamo alla giustizia climatica: i Paesi del Sud globale e i piccoli Stati insulari hanno ribadito che i nuovi Ndc non possono limitarsi alla mitigazione, ma devono includere misure concrete di adattamento, resilienza e sostegno finanziario. “Senza risorse aggiuntive - hanno avvertito - la mitigazione rischia di restare incompleta”. Anche Guterres ha insistito sulla necessità di un “aumento drastico” dei finanziamenti, ricordando che senza un sostegno economico equo e condiviso non sarà possibile affrontare la crisi climatica in modo efficace.

A dieci anni dalla Cop 21 dell’Accordo di Parigi è inevitabile interrogarsi sul reale avanzamento degli impegni assunti allora. In teoria, gli Ndc dovrebbero tradursi in azioni concrete e durature, ma i dati dimostrano che nessun Paese ha finora adottato misure coerenti con essi. Una distanza tra parole e fatti che mette in discussione la credibilità dei governi, proprio nel momento in cui si accingono a presentare i loro nuovi impegni. Un quadro dettagliato della situazione è stato tracciato dall’ultimo “Production gap report” dello Stockholm environment institute, pubblicato il 23 settembre. Il documento analizza le politiche di 20 grandi Paesi produttori di combustibili fossili, che da soli rappresentano oltre l’82% della produzione mondiale e il 74% del consumo globale. La conclusione è netta: la maggior parte dei governi continua a programmare livelli di produzione incompatibili con gli obiettivi di neutralità climatica.

Secondo il Rapporto, 11 dei 20 Paesi hanno addirittura aumentato i piani di estrazione di almeno una fonte fossile rispetto alle previsioni del 2023. In molti casi il gas viene ancora presentato come “combustibile di transizione” senza però illustrare piani credibili per il suo abbandono. Inoltre, tutti i Paesi presi in esame continuano a sostenere in maniera consistente, sia politicamente sia finanziariamente, il settore fossile: il costo fiscale dei sussidi (in termini di spesa diretta e mancati introiti fiscali per mantenere o favorire l’uso e la produzione di petrolio, gas e carbone) resta vicino ai massimi storici.

Le conseguenze di queste scelte sono chiare: entro il 2030 la produzione di combustibili fossili rischia di essere superiore del 120% rispetto a uno scenario compatibile con l’obiettivo di 1,5°C e del 77% rispetto a quello dei 2°C. Si tratta di un divario che, anziché ridursi, è cresciuto negli ultimi due anni: nel 2023 era rispettivamente del 110% e del 69%. Tra i Paesi peggiori figurano Stati Uniti e Russia, che continuano a trainare la crescita della produzione fossile, in aperto contrasto con le promesse di transizione energetica.

Il Summit di New York ha segnato però anche un passaggio inedito: alcune grandi economie, come la Cina, e Paesi emergenti, come la Nigeria, hanno assunto per la prima volta obiettivi che riguardano l’intera economia, includendo cioè tutti i settori produttivi. Tra gli annunci più rilevanti, quello del presidente cinese Xi Jinping, che ha promesso un’espansione massiccia delle energie rinnovabili e la riduzione dei gas serra del 7%-10% entro il 2035 rispetto al picco delle emissioni. Una promessa che non ha convinto del tutto i governi occidentali, al punto tale che il Commissario europeo per il clima, Wopke Hoekstra, l’ha definita “chiaramente deludente”. In risposta, Pechino ha accusato l’Europa di “doppi standard e cecità selettiva”. "Alcune persone fanno orecchie da mercante e restano in silenzio quando sentono affermazioni come 'il cambiamento climatico è una bufala' - chiaro riferimento alle parole di Donald Trump all’Assemblea generale dell’Onu, pronunciate il giorno prima -, per poi fare commenti irresponsabili sulle azioni responsabili e proattive della Cina per affrontare il cambiamento climatico", ha sentenziato un portavoce del ministero degli esteri cinese.

Mentre la Cina tenta di alzare l’asticella, l’Europa vive invece una fase di stallo. Per la prima volta, infatti, non è riuscita a presentare entro la scadenza del 24 settembre il nuovo quadro sei suoi impegni. Questo perché nella riunione del 18 settembre a Bruxelles, i ministri dell’Ambiente non sono riusciti a trovare un accordo sull’obiettivo climatico al 2040 proposto dalla Commissione, che prevedeva un taglio del 90% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990. “Respingiamo chiaramente questo target perché non vediamo la strada tecnologica per raggiungerlo”, ha dichiarato il ministro ceco Petr Hladik. Con la Repubblica Ceca, anche l’Italia e altri Paesi hanno chiesto di rivedere misure già approvate, come lo stop alla vendita dal primo gennaio del 2035 di auto che emettono gas serra in fase di trazione. In questo “brutto clima”, la possibilità di un compromesso al Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre appare piuttosto lontana, anche se da New York la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha detto di essere sicura che entro la Cop 30 l’Ue presenterà la propria traiettoria verso la neutralità climatica al 2050. Al momento, le opzioni sul tavolo vanno da una riduzione delle emissioni (entro il 2035 e rispetto ai livelli del 1990) comprese tra il 66,3% e il 72,5%, quest’ultimo in linea con la proposta della Commissione e con le raccomandazioni del Comitato scientifico europeo sui cambiamenti climatici.

Le difficoltà dell’Ue appaiono ancora più evidenti se confrontate con la rapidità con cui altri blocchi geopolitici stringono alleanze e si muovono su progetti comuni. Per esempio, tra il 31 agosto e il primo settembre, a Tianjin, si è svolto il vertice “Shanghai cooperation organisation” (Sco), con la partecipazione di Paesi responsabili della produzione di grandi quantità di gas climalteranti, tra cui Russia, Cina e India. Il presidente Xi Jinping ha annunciato la creazione di una banca di sviluppo e di una piattaforma di cooperazione energetica, con circa 280 milioni di dollari in sovvenzioni e 1,4 miliardi di dollari in prestiti, destinati a ridurre la dipendenza dagli istituti finanziari occidentali. Cina e Russia hanno inoltre confermato la realizzazione di un nuovo gasdotto e il rilancio delle forniture energetiche. Al vertice “Sco” sono poi stati firmati diversi accordi sulle energie rinnovabili e annunciati investimenti congiunti in tecnologie pulite, reti elettriche intelligenti e digitalizzazione delle infrastrutture. Questo dinamismo mette in risalto il rischio per l’Europa, ancora alla ricerca di una coesione politica, mentre gli altri attori globali consolidano infrastrutture, risorse e mercati. Uno squilibrio che potrebbe tradursi anche in un indebolimento competitivo.

Accanto a target disattesi, alle difficoltà politiche e agli enormi interessi economici in gioco, la sfida climatica continua però a generare movimenti culturali e spirituali. L’esperienza dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, che come l’Accordo di Parigi quest’anno compie dieci anni, ne è un esempio concreto: ha alimentato processi di conversione ecologica nelle comunità di tutto il mondo, stimolando iniziative educative, sociali e imprenditoriali orientate alla sostenibilità. Come ha ricordato Suor Alessandra Smerilli presentando l’evento internazionale “Aumentare la speranza per la giustizia climatica”, in programma a Castel Gandolfo (Roma) dal primo al tre ottobre, cui hanno partecipato anche il Direttore Scientifico e il Segretario Generale dell’ASviS.

Se la politica climatica rischia di rimanere vittima di negoziati lenti e compromessi al ribasso, è proprio la società civile a indicare la strada: esistono già movimenti, comunità e imprese che dimostrano che una transizione sostenibile e condivisa non è un percorso astratto ma una strada concreta. In questo contesto, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) ha più volte sottolineato l’importanza del coinvolgimento attivo di cittadini e organizzazioni sociali: senza partecipazione dal basso diminuiscono le speranze che gli accordi internazionali si trasformino in azioni reali.

Ivan Manzo

Laureato in Economia dell'ambiente e dello sviluppo all’Università di Siena, dopo diverse esperienze nel mondo del giornalismo ambientale e scientifico entra a far parte del Segretariato e della redazione dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), dove è anche referente del Gruppo di Lavoro sugli SDGs 6-14-15 (acqua, ecosistemi marini e terrestri). Collabora con una serie di testate tra cui QualEnergia, L'Ecofuturo Magazine e Giornalisti nell'Erba. Ritiene che lo sviluppo sostenibile sia la strada da seguire per la massimizzazione del benessere collettivo. Sul sito https://ivanmanzo.it/ è presente una raccolta (in continuo aggiornamento) degli articoli a sua firma.