«La Cop30 è finita, il nostro lavoro no. A chi ha marciato e negoziato: non arrendetevi»
«La Cop30 è finita, ma il nostro lavoro non è terminato. Continuerò a spingere per obiettivi più ambiziosi e una maggiore solidarietà. A tutti coloro che hanno marciato, negoziato, consigliato, riferito e mobilitato: non arrendetevi. La storia è dalla vostra parte, così come le Nazioni Unite». Ecco le parole con cui António Guterres commenta il modo in cui si è chiuso a Belém il vertice Onu sul clima. Dire che al Palazzo di vetro c’è delusione per l’accordo al ribasso siglato in Brasile è dir poco. Il segretario generale delle Nazioni Unite era stato informato passo dopo passo del piano inclinato su cui avevano incardinato i negoziati, i grandi produttori di gas e petrolio e i Paesi ancora fortemente dipendenti da essi. La bozza di documento finale diffusa l’ultimo giorno della Cop30, in cui risaltava l’omissione della questione riguardante l’abbandono dei combustibili fossili, non è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Guterres è volato verso Johannesburg, in Sud Africa, per partecipare a un G20 che da titolo ha al centro «Solidarietà, equità e sostenibilità», attendendo aggiornamenti. E benché non si fosse fatto troppe illusioni sui negoziati condotti nei tempi supplementari, un minimo di correzione di rotta se lo aspettava. Ma dopo che anche i rappresentanti dell’Unione europea, che ventiquattr’ore prima avevano minacciato il veto su quel documento, hanno fatto sapere che acconsentivano al via libera, ha capito che la partita era ormai persa. E pochi minuti dopo che la plenaria della Cop30 ha approvato all’unanimità quel testo privo di ogni riferimento ai combustibili fossili, da Johannesburg ha fatto partire la nota ufficiale col timbro delle Nazioni Unite.
Come da etichetta e da prassi, la dichiarazione di Guterres si apre con i ringraziamenti del caso al presidente del Brasile Lula, a quello della Cop30 André Corrêa do Lago e al suo team, al governo brasiliano, alla popolazione di Belém e al segretariato dell’Unfccc «per la loro ospitalità e gli sforzi instancabili profusi per rendere possibile questa Cop». Non manca un passaggio su quello che con molti sforzi di ottimismo si può definire il bicchiere mezzo pieno, in tutta questa vicenda: «Alle porte dell’Amazzonia, le parti hanno raggiunto un accordo. Ciò dimostra che il multilateralismo è vivo e che le nazioni possono ancora unirsi per affrontare le sfide decisive che nessun paese può risolvere da solo. La Cop30 ha portato a progressi, tra cui un appello a triplicare i finanziamenti per l’adattamento entro il 2035 come primo passo verso la chiusura del divario di adattamento». Né manca però la sottolineatura sul «riconoscimento che ci stiamo ora dirigendo verso un superamento temporaneo di 1,5°C» e sulla necessità di un’accelerazione «per colmare il divario tra ambizione e attuazione» delle misure necessarie per contrastare il riscaldamento globale.
Il segretario generale delle Nazioni Unite sa bene che appuntamenti come quello di Belém «si basano sul consenso e, in un periodo di divisioni geopolitiche, il consenso è sempre più difficile da raggiungere». Ma aggiunge: «Non posso fingere che la Cop30 abbia fornito tutto ciò che era necessario. Il divario tra la nostra situazione attuale e ciò che la scienza richiede rimane pericolosamente ampio. Capisco che molti possano sentirsi delusi, specialmente i giovani, le popolazioni indigene e coloro che vivono il caos climatico. La realtà del superamento dei limiti è un severo monito: ci stiamo avvicinando a punti di non ritorno pericolosi e irreversibili. Rimanere al di sotto di 1,5 gradi entro la fine del secolo deve rimanere la linea rossa dell’umanità. Ciò richiede riduzioni profonde e rapide delle emissioni, con piani chiari e credibili per la transizione dai combustibili fossili all’energia pulita. Richiede giustizia climatica e un massiccio aumento dell’adattamento e della resilienza, affinché le comunità in prima linea possano sopravvivere e riprendersi dai disastri climatici che verranno. E richiede finanziamenti climatici molto più consistenti per i paesi in via di sviluppo, affinché possano ridurre le emissioni, proteggere la loro popolazione e affrontare le perdite e i danni».
Non è quello che è stato deciso a Belém. «Do not give up», «non arrendetevi», dice Guterres a chi in queste due settimane e non solo ha marciato e negoziato per un maggior impegno globale su questo fronte. Ma il punto è costringere gli altri, ad arrendersi. Arrendersi all’evidenza dei fatti, prima di tutto. E agire di conseguenza. Se è vero che «la linea rossa dell’umanità», di cui parla lo stesso Guterres, con le attuali politiche sul clima sarà di certo oltrepassata entro fine secolo stando alle più recenti analisi scientifiche.