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Il Fondo monetario internazionale taglia le stime sulla crescita, gli Usa i più colpiti

Come rispondere ai dazi di Trump? Fmi: in Europa necessario investire di più in infrastrutture. Altro che mettere in pausa il Green deal

«Il sistema economico globale in cui la maggior parte dei paesi ha operato negli ultimi 80 anni sta subendo un riassetto, inaugurando una nuova era per il mondo»
 |  Green economy

Il nuovo World economic outlook pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) porta cattive notizie sulle prospettive di crescita economica per questo e il prossimo anno, a causa dei dazi imposti dagli Usa sulle importazioni dall’estero. Paradossalmente, ma non inaspettatamente, proprio gli Stati Uniti risultano l’area più colpita dalla mossa autolesionista del presidente Trump.

Secondo il Fmi, la crescita del Pil globale si fermerà al 2,8% quest’anno e al 3% nel 2026, rispetto al +3,3% stimato a gennaio per entrambi gli anni; il rallentamento è più marcato negli Usa (-0,9% quest’anno) rispetto alla Cina (-0,6%) o alla zona euro (-0,2%), all’interno della quale restano comunque ampie divergenze. Ad esempio il Pil italiano è previsto in crescita di appena lo 0,4% quest’anno (a fronte del +0,7% stimato a gennaio) mentre il dato spagnolo – dove la crescita delle fonti rinnovabile e il costo relativamente più basso dell’energia sono un acceleratore potente per l’economia – arriva a oltre sei volte tanto (2,5%).

Il nuovo andamento dell’economia è profondamente legato alla serie di annunci tariffari da parte di Trump, che sono culminati con l'imposizione di dazi pressoché universali il 2 aprile. L'aliquota tariffaria effettiva statunitense ha superato i livelli raggiunti durante la Grande depressione, e i risultati si vedono: «L'incertezza epistemica e l'imprevedibilità delle politiche che ne derivano sono un fattore determinante per le prospettive economiche. Se protratto, questo brusco aumento dei dazi e la conseguente incertezza rallenteranno significativamente la crescita globale», spiega il Fmi.

I modelli previsionali del Fondo tengono già conto della pausa sui dazi annunciata da Trump il 4 aprile, ma aggiunge anche che se pure fosse estesa a tempo indeterminato, non modificherebbe sostanzialmente le prospettive globali rispetto alle previsioni di riferimento. Questo perché ancora oggi i dazi degli Usa contro la Cina sono «a livelli proibitivi», ma anche per ragioni più profonde che hanno a che fare con fiducia e stabilità politica: «L'incertezza indotta dalle politiche non è diminuita», osserva il Fmi.

Premesso che «il sistema economico globale in cui la maggior parte dei paesi ha operato negli ultimi 80 anni sta subendo un riassetto, inaugurando una nuova era per il mondo», come rispondere? Le prospettive di crescita potrebbero «migliorare immediatamente se i Paesi – ammonisce il Fondo – allentassero l'attuale politica commerciale e stipulassero nuovi accordi commerciali. Affrontare gli squilibri interni può, nel corso degli anni, compensare i rischi economici e aumentare la produzione globale, contribuendo al contempo in modo significativo alla chiusura degli squilibri esterni. Per l'Europa, ciò significa investire di più in infrastrutture per accelerare la crescita della produttività».

Appare dunque a maggior ragione insensata la proposta italiana, col Governo Meloni che ha cercato di sviare le responsabilità dell’alleato statunitense chiedendo uno stop al Green deal; al contrario, gli investimenti sulla transizione ecologica – col loro bagaglio d’innovazione – potrebbero migliorare le prospettive economiche del Vecchio continente e incrementarne l’autonomia strategica. Non a caso è il contrario di quanto spera Trump, che ha proposto all’Europa (già accettata dall’Italia) di aumentare l’import di combustibili fossili a stelle e strisce. Per l’Unione europea la scelta è dunque tra quella di riprendere in mano il destino della propria economia o restare in balia della globalizzazione a guida statunitense, proprio mentre gli Usa stanno perdendo la presa.

«In molte economie avanzate – chiosa nel merito il Fmi – si percepisce con intensità che la globalizzazione abbia ingiustamente soppiantato molti posti di lavoro nel settore manifatturiero nazionale. Queste lamentele hanno un certo fondamento, anche se la quota di occupazione nel settore manifatturiero nelle economie avanzate è in declino secolare nei paesi che registrano surplus commerciali, come la Germania, o deficit, come gli Stati Uniti. La forza più profonda dietro questo declino è il progresso tecnologico e l'automazione, non la globalizzazione: in entrambi i Paesi la quota di produzione del settore manifatturiero è rimasta stabile. Entrambe le forze sono in definitiva positive, ma possono avere effetti molto destabilizzanti per individui e comunità. È una responsabilità collettiva garantire il giusto equilibrio tra il ritmo del progresso o della globalizzazione […] L'integrazione globale non è un obiettivo in sé. È un mezzo per raggiungere un fine, importante nella misura in cui favorisce il miglioramento degli standard di vita per tutti».

produzione manifattura fmi

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.