
In Italia la crescita delle rinnovabili rallenta ancora, mentre la Spagna vola

Il gestore della rete elettrica nazionale in alta tensione, Terna, ha pubblicato i nuovi dati (relativi a marzo) sull’andamento nazionale della domanda elettrica e sul suo soddisfacimento. Emerge così che nell’ultimo mese il fabbisogno è stato pari a 25,5 miliardi di kWh, in calo dello 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2024, mentre la produzione nazionale netta è risultata pari a 22 miliardi di kWh.
Le fonti rinnovabili hanno coperto solo il 39% della domanda elettrica (era il 42,3% a marzo 2024), con una produzione in calo dell’8,3% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Cresce solo la fonte fotovoltaica (+23,8%), mentre scendono la fonte idrica (-33,6%), geotermica (-2,4%) ed eolica (-7,2%), con in rialzo invece termica trainata dai combustibili fossili (+18,6%).
A marzo la nuova capacità rinnovabile è in aumento di 777 MW (+52% rispetto a marzo 2024), ma allargando l’orizzonte ai primi tre mesi di quest’anno emerge un importante rallentamento: la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 1.596 MW, un valore inferiore di 247 MW (-13%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Non è una novità: come ricordato recentemente su queste colonne da Agostino Re Rebaudengo, «incredibilmente, in Italia tra criticità normative e obiettivi di decarbonizzazione messi in discussione (sebbene già sottoscritti e inseriti anche nel Pnrr), la transizione è in una fase di estrema difficoltà». Basti osservare che «il Dm Aree idonee potrebbe rendere non idoneo il 99% dell’Italia (anche le aree già idonee per legge rischiano di non esserlo più), ponendo a rischio sia i nuovi progetti sia quelli già in fase di realizzazione, che il Dl Agricoltura abbia vietato il fotovoltaico a terra (in un Paese con 4 milioni di ettari agricoli abbandonati), e che il Testo unico che avrebbe potuto risolvere queste criticità, invece di farlo ha persino aumentato l’incertezza normativa».
Altri Paesi europei sono oggi alla testa della transizione energetica, con benefici ben più tangibili per consumatori e imprese, oltre che per il clima. In un solo anno, il 2024, la Germania ad esempio ha installato 20 GW di energia rinnovabile, mentre l’Italia per installare 20 GW ci ha messo 7 anni; si stima che se l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto la Germania avrebbe risparmiato 49,4 miliardi di euro sui prezzi elettrici.
Ma è la Spagna oggi l’esempio più fulgido in Europa della transizione energetica. Nel pomeriggio del 16 aprile le fonti rinnovabili hanno soddisfatto oltre il 100% della domanda elettrica (103,51%), per poi scendere la notte a quota 60,8%; un risultato celebrato con soddisfazione sia dalla ministra della Transizione ecologica, Sara Aagesen, sia dalla società che gestisce la rete elettrica spagnola, sia dall'Agenzia meteorologica statale. Ieri è andata ancora meglio, come sintetizza l'esperto di energia Xavier Cugat; nel momento di picco le rinnovabili hanno coperto 114,42% della domanda, con solare ed eolico che da soli pesavano il 100,29%, entrambi dati record.
Vale la pena ricordare che se nell’ultimo quadriennio l’Italia avesse investito sulle rinnovabili quanto Spagna o Portogallo, avrebbe risparmiato sull’elettricità ben 74 miliardi di euro, e secondo un modello predisposto dalla Banca di Spagna, se venissero raggiunti gli obbiettivi al 2030 del Pniec spagnolo (78% di rinnovabili elettriche) i prezzi del kWh iberico potrebbero ridursi di un ulteriore 50%.
Un successo rivendicato con forza dal presidente progressista spagnolo, Pedro Sánchez, che individua nelle rinnovabili uno dei principali motori del successo economico in corso nel Paese, dove la crescita economica è tra le più robuste d’Europa. Al contrario, la presidente Giorgia Meloni sta cogliendo ogni occasione possibile – da ultimo le sparate trumpiane sui dazi, pensate (anche) per favorire il commercio dei combustibili fossili – per portare avanti atti e retoriche contrarie al Green deal.
