Gestione rifiuti urbani, in Italia crescono gli investimenti ma meno della metà è sugli impianti
Entro fine anno l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) aggiornerà al 2024 i dati sui rifiuti urbani generati nel nostro Paese, ma dall’ultimo report sappiamo che si tratta di un flusso da circa 29,3 milioni di tonnellate annue – 1,4 mln delle quale esportate per carenza d’impianti, nel 2023 – cui si aggiungono ben 164,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (per i quali mancano almeno impianti di recupero energetico per 1,5 milioni di tonnellate e discariche per rifiuti pericolosi per 500.000 tonnellate).
A che punto è l’economia del settore? Per rispondere, il Was annual report 2025 di Althesys (gruppo Teha) ha acceso un faro sui 200 maggiori player del comparto: nel 2024 valgono 15,7 miliardi di euro (+5% sul 2023) con investimenti per 1,15 miliardi (+7,6%), di cui quasi la metà (46%) negli impianti, paradossalmente in calo rispetto al 2023 (53%). In calo anche gli investimenti nelle attrezzature, dal 19% al 13%, mentre salgono gli automezzi, passati dal 28% al 41%. Il tutto, comunque, con ampie differenze interne al comparto: gli investimenti crescono a doppia cifra sul 2023 per gli operatori metropolitani (+89,8%) e per gli operatori del trattamento e smaltimento (+30,7%).
Più in generale, nel 2024 le grandi multiutility quotate hanno generato il 36% del fatturato, pari a circa 4,6 miliardi di euro, servendo 1.043 Comuni, 11,1 milioni di abitanti e gestendo 8,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. A seguire, le piccole e medie monoutility (che si occupano di sola gestione rifiuti) hanno inciso per il 17% del valore della produzione, coprendo 2.085 municipalità, 10,3 milioni di abitanti e 4,7 milioni di tonnellate di rifiuti gestiti. Alle piccole e medie multiutility si deve il 14% del valore della produzione, con circa 1.250 comuni serviti per 8,1 milioni di abitanti e 3,3 milioni di tonnellate raccolte. La marginalità industriale sale dal 14,5% nel 2023 al 15,2% nel 2024. Il valore più elevato è quello delle grandi multiutility (22,4%).
«Il rapporto – spiega Alessandro Marangoni, economista alla guida del think tank Althesys – delinea un settore del waste management in crescita con il miglioramento dei risultati e con diversi player che rafforzano la posizione mediante acquisizioni e accordi. Non mancano, tuttavia, le criticità come evidenzia l’analisi dei piani di gestione territoriale, con varie regioni che non hanno centrato gli obiettivi. Potrebbe, poi, aumentare il costo dei termovalorizzatori a seguito dell’introduzione del sistema Eu Ets, che potrebbe rendere più concorrenziali le discariche».
Come ricorda il rapporto, dal 2028 il sistema europeo Ets per lo scambio di quote della CO2 potrebbe essere esteso ai termovalorizzatori facendone così aumentare i costi: la tariffa di conferimento dei rifiuti agli impianti “waste to energy” potrebbe aumentare tra circa 30 e 40 €/ton, fino a 45 secondo le stime di alcuni operatori. Una soluzione al problema è però già a portata di mano, come testimonia il più rilevante progetto di termovalorizzazione in corso lungo lo Stivale – ovvero quello in realizzazione a Roma –, che prevede un impianto sperimentale di cattura della CO2 dal camino e successivo impiego per concimazione carbonica in adiacenti serre. Al contempo, sarebbe opportuno rafforzare il dispositivo dell’ecotassa per rendere più oneroso il conferimento dei rifiuti in discarica e dunque limitare l’impiego degli impianti per smaltimento finale.
Il gioco però si regge sull’effettiva disponibilità d’impianti alternativi alla gestione dei rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente, dunque di recupero energetico – che si tratti di termovalorizzatori o di più innovativi impianti, come gli ossicombustori – o di riciclo chimico. Impianti che ad oggi scarseggiano, come evidenziato anche dall’ultimo Green book elaborato da Utilitalia con la collaborazione dell’Ispra, non per preoccupazioni di sorta sotto il profilo sanitario ma perché frenati dalle sindromi Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato elettorale) che punteggiano lo Stivale.
«Le nuove sfide riguardano il recupero dei Raee, il riciclo chimico, il trattamento dei tessili, ma anche il futuro dei termovalorizzatori», evidenzia infatti nel merito il Was report. Nel complesso, il rapporto ha rilevato in Italia 13 impianti innovativi di riciclo chimico, di cui almeno tre sperimentali, per una capacità aggregata di trattamento per 233.000 ton/anno. Il 57% è situato nelle regioni settentrionali e il restante 43% nel Centro-Sud. Quanto ai progetti faro per i rifiuti tessili, quelli sviluppati in ambito Pnrr sono 23. Spiccano per dimensioni i cosiddetti “Textile Hub”, in genere legati agli storici distretti tessili. Emerge infine la presenza di impianti per il trattamento dei pannelli solari a fine vita; si rilevano, in particolare, 15 impianti, di cui sei localizzati nel Sud e Isole, quattro nel Nord Italia e altrettanti nel Centro.
Il rapporto, inoltre, quest’anno contiene anche l’analisi dei piani territoriali di gestione rifiuti (Prgr) di 17 regioni e delle due province autonome: il target di raccolta differenziata è stato già conseguito da sette regioni e dalle due province autonome (corrispondenti al 47% circa del totale), mentre l’obiettivo di avere una quota di urbani smaltita in discarica inferiore al 10% entro il 2030 è stato raggiunto solo da quattro regioni, delle quali tre nel Nord e una al Sud. In generale, il Nord Est è l’area con le performance migliori. Otto regioni hanno in programma la realizzazione o l’ampliamento di strutture per il trattamento della frazione organica. Sette regioni intendono poi ampliare o realizzare nuova capacità di produzione o trattamento del combustibile solido secondario (Css).
Riguardo invece ai termovalorizzatori, tre regioni prevedono la costruzione di nuova capacità e una prevede il rinnovamento dell’impianto esistente. Restano al centro di vari piani le discariche, con ben 11 regioni che prevedono rinnovamenti o ampliamenti o costruzione di nuova capacità.
E per i rifiuti speciali? Non molte le informazioni messe in fila dal rapporto. Crescono i 70 maggiori operatori dei rifiuti speciali (valgono 5,6 miliardi di euro, +17% sul 2023) così come gli investimenti (+26%) e i quantitativi gestiti (+10%). Più di un terzo delle imprese, circa il 36%, sono piccole e medie monoutility. Le aziende del settore sono concentrate soprattutto nella fase di trattamento, in cui operano 60 società. I player rilevati hanno una forte concentrazione nel Nord Italia, con 39 imprese che incidono per il 56% del totale, seguito da Sud e Isole con il 24% (17 società) e dalle aree centrali con il 20% (14 aziende). In generale, le regioni con la maggiore presenza di operatori sono la Lombardia (18 imprese) e l’Emilia-Romagna (10).