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Il sistema resta frammentato e privo di un progetto industriale in grado di trasformare il riciclo in una vera leva competitiva per il Paese

Italia che ricicla 2025: un primato industriale senza strategia nazionale

L’industria italiana del riciclo dei rifiuti continua a essere leader a livello europeo. Performance eccellenti, dovute più all’iniziativa imprenditoriale, senza una vera politica industriale nazionale che le sostenga e le promuova. Dietro ai numeri positivi emergono infatti fragilità profonde in alcune delle filiere più strategiche – plastica, tessile, edilizia e Raee – ancora frenate dalla scarsa raccolta, dall’assenza di mercati maturi e da una domanda insufficiente di materiali riciclati
 |  Green economy

Consueto appuntamento di Assoambiente con “Italia che Ricicla”.  Convegno a Roma e presentazione del Rapporto annuale, curato da Ref Ricerche/Agenia (scaricabile nella sezione Pubblicazioni del sito Assoambiente), e promosso dalla sezione Unicircular di Assoambiente - l’Associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero, economia circolare e smaltimento di rifiuti, nonché bonifiche.

I numeri dell’industria italiana sono noti: il 73% dei rifiuti speciali viene avviata a recupero di materia, il 54 % dei rifiuti urbani viene riciclato. Il tasso di circolarità dei materiali oltre il 21%, secondo miglior risultato in Europa dopo l’Olanda.

Nel suo intervento Donato Berardi di Ref Ricerche ha analizzato il settore, che vale 5,6 miliardi di euro all’anno di fatturato, sviluppato da una miriade di piccole imprese e pochi “player” di dimensioni industriali adeguati alle sfide.  Se i grandi operatori dispongono di impianti di scala e capacità di investimento, sono i piccoli operatori che presentano i migliori risultati economici e di valore aggiunto. Insomma sembra che una rete di imprese piccole sia più capace di “resistere” e a volte “sopravvivere” in mercati spesso molto altalenanti e sottoposti a stress molteplici. Insomma sono più “resilienti”.

Il mercato del riciclo è sottoposto a continui periodi di crisi e di espansione, anche in relazione alla dimensione globale che lo caratterizza, quindi esposto ai rischi legati all’import e all’export.

Detto questo però, dentro il mondo del riciclo ci sono settori maturi (carta, metallo, vetro, legno) ma alcune filiere sono critiche come quelle dell’edilizia, della plastica, dei rifiuti tessili e dei RAEE.

Il Rapporto sottolinea come l’Italia mantenga performance elevate nel riciclo grazie a filiere storiche come carta, vetro e metalli che vantano tassi di riciclo decisamente elevati (oltre il 70%), ma fatichi a trasformare tale vantaggio in una strategia industriale capace di ridurre la dipendenza da materie prime ed energia importate e di contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici Ue.

Le maggiori criticità emergono da comparti strategici per quantità e impatti ambientali, come plastica, tessile, edilizia e Raee, per cui la raccolta resta insufficiente e i materiali riciclati faticano a trovare sbocchi di mercato. Nell’edilizia (rifiuti da costruzione e demolizione), pur in presenza di un tasso di recupero all’81%, il mercato degli aggregati riciclati rimane però debole per mancanza di domanda e a causa di norme disomogenee. Ne deriva un crescente accumulo di materiali riciclati inutilizzati.

L’attuale situazione di emergenza per la filiera della plastica nasce dalla concorrenza dei polimeri vergini a basso costo, da elevati costi energetici e dalla persistente incertezza normativa che sta mettendo in grave crisi uno dei settori simbolo del riciclo italiano. Per le filiere del tessile e dei Raee i bassi livelli di raccolta impediscono di recuperare materie prime seconde preziose, aggravando la dipendenza da risorse critiche. Anche nei settori in cui il riciclo funziona (carta e vetro), l’elevata intensità energetica degli impianti e il peso del sistema Eu Ets riducono la competitività, evidenziando la necessità di supporti energetici e di un quadro fiscale più favorevole.

Insomma se fino ad oggi l’Italia abbia raggiunto target importanti pur in assenza di una politica industriale nazionale, per raggiungere le sfide del Piano di Azione per l’economia circolare serve un cambio di passo: occorre guardare alle singole filiere e definire le misure che consentano di superare le criticità e di fare un passo avanti verso gli obiettivi ambizioni per i prossimi anni. Tutte cose che saranno al centro del prossimo Circular Economy Act, previsto per il 2026.

Il report evidenzia poi come il tessuto industriale del riciclo italiano sia composto in larga parte da micro e piccole imprese e continui complessivamente a soffrire di margini ridotti, volatilità dei prezzi e ostacoli allo sviluppo di mercati nazionali delle materie prime seconde realmente competitivi. Lo studio indica nella osmosi industriale (collaborazioni tra imprese, scambi di sottoprodotti, integrazione delle filiere) una delle leve chiave per rafforzare la produttività e l’efficienza del sistema.

«L’Italia dispone delle competenze e delle tecnologie per assumere un ruolo leader nella transizione circolare, ma deve sciogliere le sue contraddizioni e accelerare verso un modello economico capace di produrre e utilizzare materie prime preziose per la nostra industria, ridurre consumi, dipendenze e impatti ambientali. La sfida è aperta, e riguarda il futuro industriale e il benessere del Paese, infatti se il sistema regolatorio e economico-industriale non è in grado di favorire l’uso delle materie prime derivanti dal riciclo dei rifiuti, continueremo ad avere dei risultati di riciclo eccellenti ma l’Economia Circolare rimarrà solo un’ideologia da sbandierare per convenienza», ha affermato a margine dell’evento Paolo Barberi – presidente della sezione Unicircular di Assoambiente.

«Il riciclo non è più solo un tema ambientale, è una leva industriale, competitiva, strategica per la sicurezza delle risorse e per la decarbonizzazione del Paese. Occorre però un cambio di passo: servono regole chiare, uniformi e stabili, una fiscalità che premi davvero chi investe nella circolarità, criteri End of Waste efficaci e una politica di acquisti pubblici in grado di trainare i mercati del riciclato», ha aggiunto Chicco Testa, presidente di Assoambiente.

In sintesi, è il momento di un salto di strategia, sia europea che nazionale. Servono semplificazioni e norme chiare ed univoche sul permitting, incentivi fiscali e strumenti economici di mercato (come i certificati del riciclo), omogenizzazione dei criteri per l’end of waste a scala europeo, vanno migliorati i Cam e adottate misure di difesa dalla concorrenza sleale di Paesi extra EU, esteso l’obbligo di utilizzo minimo di materiale riciclato nei prodotti, incrementato il numero di filiere sottoposte a Responsabilità estesa del produttore. Tutte proposte concrete e fattibili che sono state inviate alla Commissione europea, per la definizione del Circular Economy Act.

Andrea Sbandati

Andrea Sbandati è senior advisor di Confservizi Cispel Toscana (l’Associazione regionale delle imprese di servizio pubblico), dopo esserne stato Direttore fino a novembre 2024. È esperto senior nella regolazione economica della gestione dei rifiuti urbani e dei servizi idrici (sistemi tariffari, piani industriali, benchmark), come nella organizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, energia, altro). Ricercatore senior nel campo della gestione dei rifiuti e dell'acqua, docente in Master di specializzazione nella regolazione economica dei servizi ambientali locali (Sant'Anna, Turin school of regulation). Da venti anni coordinatore ed esperto di progetti di assistenza tecnica e cooperazione internazionale nei servizi pubblici locali (Medio Oriente, Africa, Sud America).