
Due petroliere in fiamme nello Stretto di Hormuz: collisione accidentale o azione militare andata male?

Arrivano notizie dubbie e spesso in contrasto tra di loro riguardo la Vlcc (Very large crude carrier) “Front Eagle” di bandiera liberiana e la petroliera “Adalynn”, una Suezmax di bandiera Antigua e Barbuda, che risulterebbe sospettata di essere una nave appartenente alla cosiddetta “flotta ombra” russa.
La Front Eagle aveva a bordo circa 2 milioni di barili (circa 500.000 tonnellate) di greggio iracheno diretto al porto di Zhoushan in Cina, mentre l'Adalynn viaggiava vuota di carico e diretta verso il Canale di Suez. Secondo i dati ricavati dal tracciamento marittimo di TankerTrackers.com, la Front Eagle navigava con rotta Sud ad una velocità di 13,1 nodi quando ha effettuato una virata improvvisa a dritta (sempre secondo il tracciamento marittimo sopracitato), provocando la collisione con la zona poppiera sinistra dell'Adalynn, che a sua volta procedeva con rotta Sud-Est a 4,8 nodi.
L'impatto ha prodotto l’immediato incendio su entrambe le unità, con l'Adalynn che sembrerebbe aver subito i danni più gravi, essendo stata ripresa da alcune foto satellitari completamente avvolta dalle fiamme.
Una manovra a dir poco strana e che alimenta il sospetto che le due navi siano capitate, malauguratamente, in un contesto di guerra elettronica, appaiono fondati.
Diversi esperti di guerra elettronica asseriscono che l’Iran ha le capacità tecniche per poterlo fare, disponendo di sistemi avanzati di guerra elettronica, che comprendono sistemi molto evoluti come il “Cobra V8”, capace di disturbare aerei da ricognizione fino a 250 chilometri di distanza, oltre a sistemi complessi di guerra elettronica, di ultima generazione, situati presso Bandar Abbas e l'isola di Abu Musa.
Questi sistemi d’arma sono in grado di interferire simultaneamente con Gps (Global position system), Ais (Automatic identification system) e con i sistemi di comunicazioni che normalmente lavorano sui canali Vhf (Very high frequency), presenti a bordo, creando condizioni operative estremamente rischiose pericoloso per la navigazione marittima.
A tal riguardo, lo Jmic (Joint maritime information centre) che, come noto, fa parte delle Combined maritime forces a guida statunitense, ha documentato casi cosiddetti di "extreme jamming" (disturbo estremo) emananti dal porto iraniano di Bandar Abbas.
Ripetiamo, anche se il Jmic ha detto che non ci sono evidenti segnali in attuazione per un potenziale blocco dello Stretto di Hormuz che, ricordiamolo, gestisce più di un quarto del commercio mondiale di petrolio, la preoccupazione che la navigazione marittima possa essere oggetto di azioni atte a determinarne incertezza ed errori fino a far collidere le navi in vista l’una dell’altra restano altissime, come altissima resta la preoccupazione, diventata purtroppo certezza, che l’inquinamento di quel tratto di mare, con tutto ciò che ne consegue, apre la strada ad un disastro ambientale marino di proporzioni mai viste.
Sappiamo bene che lo Stretto di Hormuz rappresenta la porta d'accesso al Golfo Persico, dove le principali nazioni produttrici di petrolio (Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e Iran), hanno allestito terminal petroliferi dove permettere alle petroliere di caricare greggio e, attraverso il transito dallo Stretto di Hormuz, raggiungono i porti di destinazione finali.
Non possiamo non rilevare il fatto che dopo l’inizio dei lanci di missili e dei ripetuti attacchi aerei da parte israeliana contro l'Iran, si sono intensificate le preoccupazioni che la Repubblica islamica avrebbe tentato di bloccare il collo di bottiglia. Molti armatori di petroliere, infatti, hanno sospeso i commerci delle loro navi nel Golfo Persico. Oltre l’insistente testimonianza non possiamo andare e finanche l’Onu, in questo tragico momento per l’intera umanità, rivela tutti i suoi limiti d’impotenza.
