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Rifiuti radioattivi, il Governo ha ri-cambiato idea sul Deposito nazionale: sarà pronto nel 2039

Dopo aver ipotizzato di non realizzarlo affatto, il ministro Pichetto lamenta che «le comunità locali avvertono un senso di minaccia» e per questo «il nostro compito è avere e divulgare un quadro chiaro di dove si voglia andare»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Dopo aver candidamente affermato di voler accantonare una progettualità che l’Italia sta portando avanti da tre lustri – quella del Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi, l’unica infrastruttura davvero sensata sul fronte nucleare per il nostro Paese –, oggi il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha rimesso in carreggiata la progettualità dell’infrastruttura, ma con tempi biblici: la messa in esercizio è prevista nel 2039.

In audizione alle Commissioni VIII e X della Camera, stamani il ministro Pichetto è tornato sulla mancata localizzazione del Deposito nazionale, facendo il punto della situazione sulla procedura: «Non è stata presentata alcuna autocandidatura», e ora «è attesa la ricezione del parere di scoping da parte della Commissione tecnica Via Vas» sulla proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai).

«Una volta conclusa la Vas – ha aggiunto Pichetto – la Cnai e il relativo ordine di idoneità saranno approvati con decreto del Mase, di concerto col Mit, previo parere tecnico dell’Isin». Il ministro ha poi spiegato i successivi passaggi, con «l’acquisizione di possibili manifestazioni di interesse», «indagini tecniche svolte da Sogin per la durata di quindici mesi e successiva proposta di localizzazione», una «campagna informativa nella Regione in cui è situato il sito prescelto» e «lo svolgimento del procedimento di rilascio dell’Autorizzazione unica e della procedura di Via».

Pichetto ha aggiunto che in caso di assenza di manifestazioni spontanee o mancata definizione dell’intesa, saranno «attivati Comitati interistituzionali misti Stato-Regioni e sarà ricercata l’intesa della Conferenza unificata», spiegando che il passaggio ulteriore, in assenza di intesa, sarebbe «un decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata».

«Sulla base delle recenti stime di Sogin – ha precisato Pichetto – orientativamente si ritiene che si possa prevedere per il 2029 il rilascio del provvedimento di Autorizzazione unica e per il 2039 la messa in esercizio del Deposito nazionale», un timing già definito «realistico» anche dall'ad di Sogin, Gian Luca Artizzu.

Non si tratta di una novità, in quanto le stesse tempistiche erano state indicate dallo stesso Pichetto lo scorso ottobre. Due mesi fa però, sempre Pichetto, aveva dichiarato un profondo cambio rotta: «Stiamo studiando nuovi depositi di rifiuti radioattivi a bassa intensità. Abbiamo ormai scartato l’idea di un centro unico, perché è illogico a livello di efficienza, ma si può pensare di andare avanti con i 22 esistenti […] Inizio a scartare l’ipotesi dei miei predecessori, perché mi sembra illogico a livello di efficienza e funzionalità avere un solo centro a livello nazionale. Significherebbe far viaggiare ogni giorno i rifiuti da Torino a Palermo. Anche la Carta nazionale dei 51 siti idonei è ormai superata. Ecco perché la valutazione che sto facendo a livello ministeriale è creare più depositi, oppure andare avanti su quelli già esistenti».

Peccato che entrambe le opzioni appaiano non percorribili. Secondo Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi – nonché incaricata della realizzazione del Deposito unico – afferma chiaramente che «né i depositi temporanei né i siti che li ospitano sono idonei alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi».

Il Deposito unico nazionale è inoltre un obbligo di legge: l’Ue (articolo 4 della direttiva Euratom 2011/70) prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati, e nel recepire la direttiva con decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, l’Italia prevede la necessità di realizzare un Deposito nazionale unico.

Ecco dunque che stamani, in Parlamento, il ministro è tornato a perorare la causa del Deposito unico nazionale, anche lamentando che «le comunità locali avvertono un senso di minaccia e per questo «il nostro compito è avere e divulgare un quadro chiaro dello ‘status quo’ e di dove si voglia andare, con voci autorevoli che plachino, o quantomeno riportino nei giusti binari le legittime preoccupazioni derivanti da un ‘effetto Nimby’ (‘not in my back yard’, ‘non nel mio giardino’)».

Eppure il primo fattore di caos su questo fronte sembra proprio arrivare dal Governo, che si fa anche attore protagonista della sindrome parallela al Nimby, ovvero il Nimto, acronimo che sta per Not in my terms of office, non nel mio mandato elettorale. Sia che si interrompa il percorso verso il Deposito nazionale, sia che venga realizzato e reso operativo solo nel 2039, si tratta infatti di una mancata assunzione di responsabilità da parte del Governo. Eppure, al contempo, l’esecutivo Meloni continua a propagandare il ritorno dell’energia nucleare in Italia.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.