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A Vicenza si chiude il processo Miteni, Legambiente esulta: «Sentenza storica, chi inquina paga»

Ciafani: «Aziende condannate per aver contaminato con Pfas l’acqua potabile della seconda falda acquifera d’Europa»
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Si è chiusa oggi l’epopea del processo Miteni, su uno dei casi d’inquinamento idrico più gravi da Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche), che ha esposto al rischio centinaia di migliaia di persone. Si parla dell’area compresa tra le province di Vicenza, Verona e Padova, in Veneto, colpita negli anni dall’inquinamento delle acque superficiali e falde acquifere da Pfas, iniziato secondo l’Arpa regionale già dalla fine degli anni ‘70. La maggior indiziata, secondo le analisi di Arpa Veneto, è la Miteni Spa, ex Rimar, una fabbrica chimica che insiste sui territori di Trissino (Vicenza): il processo per inquinamento da Pfas si è concluso con la condanna di 11 manager e l’assoluzione di altri 4 imputati, oltre a un risarcimento per oltre 300 parti civili.

«Oggi sentenza storica e grande vittoria per il popolo inquinato», dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che unitamente a Legambiente Veneto e al circolo locale si sono costituite parti civili nel processo e presenti oggi in aula alla lettura della sentenza.

«Con la sentenza di oggi a Vicenza si conclude, infatti, uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d'Italia ricordi: il processo ai vertici delle aziende che si sono avvicendate nella gestione del sito produttivo Miteni, oggi condannate per aver contaminato l’acqua da PFAS, compresa l’acqua potabile, della seconda falda acquifera d’Europa a servizio di più di 300.000 persone nella regione Veneto. Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato, che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda – rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 km quadrati – ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l'ecosistema, la salute e per l’economia produttiva».

I Pfas sono composti poli e perfluoroalchilici, noti come “inquinanti eterni” e presenti ormai praticamente ovunque: sono infatti sostanze chimiche di sintesi utilizzate in un’ampia varietà di applicazioni di uso comune grazie alle loro proprietà idro- e oleo-repellenti oltre che ignifughe, dai rivestimenti delle scatole dei fast food e delle pentole antiaderenti, alle schiume antincendio.

Una volta dispersi nell’ambiente però i Pfas si degradano in tempi lunghissimi, contaminando fonti d’acqua e coltivazioni: l’esposizione ai Pfas è stata associata a una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e impatti negativi sulla fertilità. Più recentemente, è stato scoperto che i Pfas aumentano anche il rischio di malattie cardiovascolari, rafforzando dunque la richiesta di messa al bando.

Complessivamente, la Commissione Ue stima che l’inquinamento da Pfas costi fino a 84 miliardi di euro all’anno in termini di costi sulla salute, e l’unica risposta efficace al problema sta nelle bonifiche ma soprattutto nella messa al bando di questi inquinanti eterni.

Legambiente ricorda che per diversi decenni, l’azienda chimica Miteni ha prodotto Pfas a Trissino (Vicenza) e ha rilasciato i suoi rifiuti senza controllo, inquinando le acque superficiali e sotterranee e la catena alimentare, colpendo zone di Verona, Vicenza e Padova.

«La sentenza arrivata oggi – dichiara Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – è frutto di un processo durante il quale è stato provato senza ombra di dubbio che l'inquinamento da Pfas e da altre sostanze (C604 e GenX) proviene dal sito Miteni e sia imputabile alla gestione, anche recente, dell'impianto industriale. La conferma da parte della Corte dell'ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili ed a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni. Durante il processo è emerso con chiarezza che per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali». 

Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, in questi giorni, ricorda Legambiente, è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso.

Redazione Greenreport

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