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Ridurre l’inquinamento dell’aria fa aumentare la produttività del lavoro

È quanto emerge da un’analisi econometrica su scala europea realizzata dall’Ocse: una diminuzione di 1 µg/m3 della concentrazione di PM2.5 provoca una crescita dello 0,55% dei rendimenti aziendali
 |  Inquinamenti e disinquinamenti

Che l’inquinamento ambientale sia dannoso per la salute si sa da tempo. Che sia dannoso anche per i conti economici di singole aziende e interi Paesi lo evidenzia ora un’indagine condotta su scala europea dall’Ocse. L’Organizzazione per la coesione e lo sviluppo economico ha realizzato un’analisi econometrica per appurare se vi sia un nesso tra la qualità dell’aria e la crescita economica. Ebbene, secondo quel che evidenziano i risultati di questo lavoro, un nesso c’è, e neanche di poco valore.  L’esposizione all’aria inquinata non solo provoca danni alla salute, con conseguente assenteismo dal lavoro per giornate di malattia, ma può compromettere direttamente la capacità cognitiva e ridurre la produttività anche tra i lavoratori che si presentano regolarmente nei luoghi di impiego. La nuova ricerca dell’Ocse esamina proprio la relazione tra inquinamento atmosferico e produttività del lavoro utilizzando i dati di milioni di aziende scelte a campione in 22 Paesi europei.

Base dell’indagine è l’inquinamento atmosferico misurato dalle concentrazioni di particolato fine, note come PM2.5, espresse in microgrammi per metro cubo (µg/m3). Le particelle PM2.5   sono invisibili, circa 30 volte più piccole della larghezza di un capello umano, rendendole in grado di penetrare negli spazi interni e bypassare le difese naturali del nostro corpo per raggiungere i polmoni. L'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda una concentrazione media annuale di PM2.5 inferiore a 5 µg/m3. Tuttavia, più della metà della popolazione Ocse è ancora regolarmente esposta a livelli superiori a 10 µg/m3. L’Europa ha fatto progressi significativi nella riduzione dell’inquinamento atmosferico negli ultimi decenni, con livelli medi in calo del 23% tra il 2000 e il 2022. Tuttavia, l’inquinamento supera ancora spesso nei Paesi Ue le linee guida dell’Oms. Inoltre, la situazione varia in modo significativo a seconda della regione, con aria più pulita che si trova tipicamente nei paesi scandinavi e lungo la costa atlantica, e concentrazioni più elevate nell’Europa centrale e orientale, nell'Italia settentrionale e nella costa mediterranea.

Come viene ben spiegato, una sfida chiave nello studio dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla produttività del lavoro è il potenziale problema della causalità inversa: una maggiore produttività può portare a maggiori emissioni e inquinamento. Per fornire stime causali, l’analisi Ocse sfrutta le variazioni casuali nell’altezza dello strato limite, un parametro meteorologico che misura l’estensione verticale dell’aria vicino alla superficie terrestre. Gli inquinanti si accumulano tra la superficie terrestre e lo strato limite; pertanto, uno strato limite più alto consente agli inquinanti di dissiparsi più facilmente, riducendo l’inquinamento atmosferico a livello superficiale. Queste variazioni meteorologiche non sono associate all’attività umana sul terreno e consentono ai ricercatori di misurare il vero effetto causale dell’inquinamento atmosferico sulla produttività del lavoro.

Ebbene, l’analisi econometrica condotta dai ricercatori Ocse indica un chiaro impatto negativo dell’inquinamento atmosferico sulla produttività del lavoro. In particolare, un aumento di 1 µg/m3 della concentrazione di PM2.5  provoca una riduzione dello 0,55% della produttività del lavoro. Le perdite di produttività derivano sia dall’aumento delle giornate di malattia che dalla diminuzione delle prestazioni cognitive e fisiche sul posto di lavoro. Gli effetti negativi sono più pronunciati in alcuni tipi di aziende, in particolare: aziende di medie dimensioni con una forza lavoro più grande; imprese edili, dove i lavoratori trascorrono molto tempo all’aperto; aziende con bassa intensità di capitale, che hanno meno risorse per mitigare o adattarsi agli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sui lavoratori; aziende che impiegano una quota maggiore di lavoratori altamente qualificati, la cui produttività si basa sulle prestazioni cognitive.

Visto in modo diverso, una riduzione di solo 1 µg/m3 nella concentrazione di PM2.5 può aumentare la produttività aziendale dello 0,55%. Anche se apparentemente piccoli, tali guadagni incrementali sono significativi nel tempo. Tra il 2010 e il 2019, la produttività del lavoro europea è cresciuta annualmente in media dello 0,75%. Durante lo stesso periodo, una diminuzione annuale di circa 0,4 µg/m3 in PM2.5 ha aumentato la crescita della produttività di circa lo 0,22% all’anno. In altre parole, spiegano i ricercatori Ocse, circa un terzo della crescita della produttività del lavoro in Europa in quel periodo potrebbe essere attribuita a miglioramenti della qualità dell’aria.

I risultati di questa indagine, sottolineano i ricercatori, evidenziano che le politiche volte a migliorare la qualità dell’aria non solo avvantaggiano la salute pubblica, ma possono anche migliorare la produttività, guidare la crescita economica e promuovere una maggiore convergenza economica in tutta Europa. Queste intuizioni sono particolarmente rilevanti data la recente revisione delle direttive europee sulla qualità dell’aria, che impongono standard più severi entro il 2030. Integrare le considerazioni sulla produttività nelle politiche ambientali, concludono i ricercatori Ocse, potrebbe aiutare i governi a raggiungere allo stesso tempo sia gli obiettivi di solidità economica che quelli di salute pubblica.

Redazione Greenreport

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