
In Italia il 42% degli ecosistemi è in cattivo stato. L’ASviS: la Nature restoration law è un’opportunità

Sul nostro pianeta si registra una continua e significativa perdita di habitat, che mette a rischio la sopravvivenza di moltissime specie: da mezzo milione a un milione sono quelle che potrebbero estinguersi nei prossimi 30 anni e per questo il Kunming-Montreal Global biodiversity framework della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (Convention biological diversity, Cbd) ha fissato l’obiettivo globale di impegnarsi a salvaguardare in modo più efficiente la biodiversità di mari e terre emerse, proteggendo entro il 2030 il 30% del pianeta. Il problema è che nonostante importanti iniziative assunte anche recentemente in ambito comunitario, la situazione su questo fronte in Europa continua ad essere critica e, restringendo ancora di più lo sguardo e focalizzando l’attenzione sull’Italia, emerge che nel nostro Paese siamo ancora lontani dagli obiettivi prefissati.
Come viene sottolineato nel position paper “La ‘Nature restoration law’: un’opportunità per l’Italia”, realizzato da ASviS e curato in particolare da Rossella Muroni insieme ad Andrea Filpa, siamo tra i Paesi Ue con la maggiore biodiversità terrestre e d’acqua dolce, ma anche tra quelli dove è più minacciata: su 85 tipologie di ecosistemi naturali presenti sul territorio nazionale, il 42% si trova in uno stato di conservazione sfavorevole e lo stesso vale per le specie: oltre la metà di flora e fauna tutelate a livello comunitario versa in cattive condizioni. Si legge nel documento, che è stato presentato a Genova nell’ambito delle iniziative del Festival per lo sviluppo sostenibile: «A livello ecosistemico, l’analisi dello stato di conservazione delle 85 tipologie di ecosistemi naturali e seminaturali presenti in Italia (di cui 44 di tipo forestale, 8 arbustivi, 8 prativi, 7 erbacei radi o privi di vegetazione, 11 acquatici, 7 igrofili) ha evidenziato che 19 ecosistemi presentano uno stato di conservazione elevato, 18 sono a medio stato di conservazione ma ben 36 (42%) sono in stato di conservazione sfavorevole. In particolare, questi ultimi sono:
- forestali della Pianura Padana, con diverse fisionomie;
- legati alle fasce costiere e subcostiere della penisola, delle isole maggiori e delle coste nord-adriatiche (aloigrofili, psammofili, arbustivi e forestali sempreverdi);
- igrofili di tutti i settori biogeografici a diversa struttura e fisionomia (spondali a copertura variabile e forestali);
- forestali a dominanza di querce caducifoglie in ambito planiziale e collinare sia nel settore alpino e prealpino sia nel settore peninsulare».
Lo scorso anno il Parlamento europeo ha approvato la Nature restoration law (Nrl), un regolamento che fissa obiettivi giuridicamente vincolanti per tutti gli Stati membri (Italia compresa, che pure aveva votato contro il testo) con l’obiettivo di ripristinare gli ecosistemi degradati in tutta l’Unione di almeno il 20% entro il 2030, il 60% entro il 2040 e di almeno il 90% entro il 2050. «Restaurare anche solo il 15% degli ecosistemi degradati potrebbe ridurre del 60% la perdita di specie», evidenzia l’ASviS, ricordando che il restauro ecologico, oggi riconosciuto come nuova disciplina scientifica integrata, unisce ecologia, economia e scienze sociali, e rappresenta una sfida complessa ma indispensabile per la resilienza del nostro sistema socio-ambientale. «La Nature restoration law non è, dunque, solo una normativa ambientale, ma un progetto per il futuro del Paese, che mette al centro il territorio, la salute e la sostenibilità».
Il regolamento europeo sul ripristino della natura, tra l’altro, impone a tutti gli Stati membri di garantire entro il 31 dicembre 2030 l’assenza di perdita degli spazi verdi urbani e della copertura arborea rispetto al 2024. Il position paper realizzato dall’ASviS ricorda che gli habitat naturali e seminaturali presenti negli ecosistemi urbani sono i più vulnerati dall’impatto delle attività antropiche e che dal 1° gennaio 2031 deve essere innescata una tendenza positiva, legata all’aumento degli spazi verdi urbani, che va monitorata ogni sei anni. L’ASviS sottolinea quindi che grazie all’applicazione della Nature restoration law molti comuni saranno costretti a porre uno stop al consumo di suolo e, secondo i dati dell’Ispra, oltre 3 mila comuni, pari al 40,2% del totale, dovranno adeguarsi a questi nuovi obblighi.
Il regolamento prevede anche che gli Stati membri presentino entro il 1°settembre 2026 un proprio Piano nazionale di ripristino (Pnr). «La redazione del Pnr richiederà una profonda riorganizzazione delle conoscenze esistenti e un deciso salto di consapevolezza sullo stato degli ecosistemi italiani, superando la frammentazione dei dati ambientali e coinvolgendo cittadini, scienziati, istituzioni e territori», si legge nel position paper presentato a Genova. E, al fine di raggiungere tutti gli obiettivi citati e anche di definire al più presto il Pnr dell’Italia, l’ASviS chiede al governo di stanziare risorse economiche adeguate alla sfida e di istituire una Cabina di regia nazionale che consenta anche di accelerare i tempi. «Il ripristino degli ecosistemi non è solo una sfida ambientale ma una grande opportunità economica e sociale», ha sottolineato il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini nel corso della presentazione del documento. «L’Italia - ha aggiunto - deve coglierla con convinzione e impegno, definendo al più presto un Piano ambizioso che integri e rafforzi le politiche esistenti e che venga finanziato con risorse adeguate, finora assenti nella programmazione definita dal Governo per i prossimi anni con il piano Strutturale di bilancio, al di là di quelle stanziate con il Pnrr. Per queste ragioni l’Asvis sollecita l’istituzione urgente di una Cabina di regia nazionale che consenta di integrare il Regolamento europeo nelle politiche italiane presenti e future».
