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L’ultimo anno si è fermato a +7,48 GW e l’inizio del 2025 rallenta ancora

Comuni rinnovabili, avanti piano: Legambiente, l’Italia deve installare oltre 11 GW l’anno

Ciafani: «Gli impianti non si fanno per le sindromi Nimby e Nimto, ognuno deve mettersi sulle spalle un po’ di responsabilità»
 |  Nuove energie

Legambiente ha presentato stamani a Roma la XX edizione del rapporto “Comuni Rinnovabili”, realizzato dall’associazione ambientalista insieme in collaborazione col Gestore dei servizi energetici (Gse), documentando che la potenza rinnovabile installata lungo lo Stivale è cresciuta del 267% negli ultimi vent’anni: dai 2.452 impianti per 20.222 MW installati nel 2004 ai 1.893.195 impianti per 74.303 MW del 2024.

Una crescita di cui ha tratto vantaggio anche il mondo del lavoro, dato che l’Italia con 212mila persone è in Europa al secondo posto (dopo la Germania) per persone occupate nel settore delle rinnovabili: oltre la metà (135 mila) sono impiegate nel settore delle pompe di calore, mentre eolico e fotovoltaico valgono rispettivamente 9mila e 26,5mila posti di lavoro.

Eppure resta ancora molta strada da fare: a fine 2024 la quota di rinnovabili sui consumi finali è stimata di poco inferiore al 20% (guardando alla sola domanda elettrica il dato sale al 41,2%), un dato già molto inferiore a quello della traiettoria delineata nel pur recente Pniec, che per il 2024 prevedeva una quota del 22,6%.

A preoccupare sono anche i ritardi dell’Italia rispetto all’obiettivo 2030 e il muro che diverse Regioni stanno innalzando sul tema aree idonee, a partire da Sardegna e Toscana. Entro il 2030 l’Italia dovrà raggiungere, secondo quanto previsto dal decreto Aree idonee, 80.001 MW di nuova potenza considerando le installazioni realizzate a partire dal 2021. Un obiettivo lontano dato che con le installazioni degli ultimi quattro anni il Paese ha raggiunto appena il 24,1% dell’obiettivo - 19.297 MW di nuova potenza installata dal 2021 al 2024.

Per colmare questo ritardo, snocciola Legambiente, l’Italia dovrà realizzare nei prossimi 5,5 anni 60.704 MW, pari ad una media di 11.037 MW l’anno. Parliamo di almeno 3.557 MW in più rispetto a quanto fatto nel 2024 (7.480 MW).

«Gli impianti a fonti rinnovabili non si fanno perché – spiega a greenreport Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – i cittadini sono affetti dalla sindrome Nimby (non nel mio giardino, ndr) e gli eletti sono afflitti dalla sindrome Nimto (non nel mio mandato elettorale, ndr). Per superare tutto questo ognuno deve mettersi sulle spalle un po' della responsabilità che è mancata fino ad oggi; bisogna anche potenziare gli strumenti di coinvolgimento e partecipazione dei territori, per spiegare loro che questi impianti sono fondamentali per chiudere tutte le centrali a fonti fossili».

La strada però è già tracciata, e ci ha pensato una recente analisi di Rse – ovvero Ricerca sul sistema energetico, società controllata dal Gse e dunque dal ministero dell’Economia – a delineare cosa accadrà col progressivo superamento del Pun.

«Il 2025 è un anno di transizione, ancora si paga con il cosiddetto Prezzo unico nazionale – argomenta Ciafani – Quindi il costo dell'energia elettrica è uguale per tutti i territori. Dal 2026 invece l'Italia sarà divisa in sette zone e ogni zona pagherà un prezzo zonale. Se nelle zone in cui sarà divisa l'Italia saranno presenti più impianti a fonti rinnovabili, la bolletta in quei territori si pagherà di meno, e questo sarà un supporto importante per quei territori che danno un contributo non indifferente alla rivoluzione energetica del Paese».

Intanto però occorre accelerare per l'installazione di impianti rinnovabili sui territori: «Servono politiche nazionali, regionali e comunali – conclude Ciafani – in grado di accogliere la trasformazione in corso, lavorando anche sull’accettabilità sociale e su una maggiore partecipazione dei territori, snellendo gli iter autorizzativi e rimuovendo quegli ostacoli burocratici e i decreti sbagliati che ad oggi ne frenano lo sviluppo, come quello sulle Aree idonee che la recente sentenza del Tar del Lazio ha sostanzialmente smontato. Il ministero dell’Ambiente non faccia ricorso al Consiglio di Stato e corregga speditamente il decreto per recuperare il tempo perso nell’ultimo anno».

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.