L’Europa corre sulla geotermia, mentre l’Italia soffre ancora la carenza di politica industriale
Si è tenuto quest’anno a Zurigo l’European geothermal congress 2025 (EGC2025), l’evento più importante del settore geotermico europeo, organizzato ogni tre anni dal Consiglio europeo per l'energia geotermica (Egec), organizzazione internazionale no-profit che promuove lo sviluppo della geotermia in Europa.
L’edizione 2025 ha registrato la partecipazione di oltre 1.400 iscritti in presenza, confermandosi come punto di riferimento per istituzioni, centri di ricerca, imprese e professionisti del comparto. Particolarmente significativa la partecipazione italiana, con la presenza di organizzazioni di settore quali l’Unione geotermica italiana (Ugi), la Rete geotermica e il Consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche (CoSviG), enti di ricerca come Cnr, Ingv e diverse università, oltre ad aziende attive nel comparto come Baker Hughes, Tenaris, Turboden, Exergy, Italmatch, Schlumberger Italia e Graziella green power e numerose società di consulenza.
A margine del Congresso si è svolta anche la votazione per il rinnovo del Consiglio direttivo dell’Egec, che ha visto la riconferma dell’italiano Marco Baresi (Institutional affairs and Market director di Turboden) come vice-presidente. Nel board dell’Egec figurano inoltre altre due rappresentanti italiane: Sara Montomoli (Enel green power) e Isabella Nardini (Fraunhofer Ieg).
Dai lavori presentati durante il Congresso è apparso evidente come, nell’ultimo decennio, numerosi Paesi europei, pur non disponendo di risorse geotermiche con le peculiarità di quelle italiane, abbiano investito con decisione nella geotermia, in particolare per applicazioni di teleriscaldamento.
Esempi significativi provengono dalla Francia, dove reti di teleriscaldamento geotermico servono città importanti come Parigi; dalla Germania, con il caso di Monaco di Baviera; dalla vicina Austria, dove sono già stati perforati pozzi per alimentare il futuro sistema di teleriscaldamento di Vienna. Progetti analoghi sono in fase di sviluppo anche in Svizzera, dove sono già state completate le attività di esplorazione superficiale.
Tali iniziative sono state promosse e finanziate dalle municipalità, con il sostegno diretto dei governi nazionali, che hanno stanziato fondi dedicati al derisking delle attività di esplorazione profonda.
Tuttavia, questa visione politica di sviluppo e progresso sembra arrestarsi al di qua delle Alpi. In Italia, infatti, si registra una carenza di interesse politico nel riconoscere la geotermia come componente strategica del mix energetico nazionale. A partire dal decreto legislativo 22/2010 non sono stati intrapresi passi concreti né per destinare fondi al derisking delle perforazioni, né per semplificare le procedure autorizzative relative alle fonti energetiche rinnovabili.
L’intera filiera geotermica italiana – in particolare gli sviluppatori, ma anche le aziende che operano nella fornitura di tecnologie e servizi, come Steam – continua ad attendere un segnale di apertura verso una ripresa dello sviluppo del settore. L’attuazione degli incentivi previsti dal decreto Fer2 e l’avvio delle aste, annunciate durante l’Italian geothermal forum di marzo 2025, non sono ancora partite, mantenendo bloccati progetti e investimenti che potrebbero generare benefici economici positivi sia a livello nazionale che locale. Eppure, come riportato in un recente position paper di The European House Ambrosetti (Teha), ogni euro investito in geotermia attiva altri 2 euro nel resto dell’economia, per un moltiplicatore economico che è il più alto tra le fonti rinnovabili: ogni GW installato genera un valore aggiunto complessivo a livello di sistema-Paese pari a 8 miliardi di euro. Anche dal punto di vista sociale, il settore della geotermia gioca un ruolo chiave, generando circa 6.131 nuovi occupati (diretti, indiretti e indotti) per ogni GW installato, e risultando la tecnologia green a maggiore intensità occupazionale.
Il Congresso ha lasciato in eredità la consapevolezza di quanto la geotermia possa contribuire concretamente alla transizione energetica sostenibile, riducendo la dipendenza dal gas e dai Paesi esteri, oltre a garantire un importante contributo di energia di base (baseload) al sistema elettrico.
D’altra parte, permane il rammarico per un’Italia che continua a voltare le spalle a questa risorsa nazionale, rinunciando a un potenziale strategico di sviluppo e innovazione nel panorama energetico europeo.
Quest'articolo è stato realizzato con la collaborazione di Matteo Quaia
