L’Università di Pisa presenta la tecnologia d’ossicombustione in progetto a Peccioli
A che punto siamo con le tecnologie innovative nel trattamento dei rifiuti? Per provare a rispondere si è svolto oggi un convegno di alto profilo nella prestigiosa Aula magna della scuola di ingegneria dell’Università di Pisa, promosso dall’Ateneo Pisano e dal consorzio Polo tecnologico Magona.
Dopo i saluti istituzionali ha introdotto il convegno l’assessora all’Ambiente della Regione Toscana Monia Monni, che ha ricordato le caratteristiche del Piano regionale dell’economia circolare approvato ad inizio anno, insieme al percorso partecipativo che lo ha segnato, sottolineando il superamento di un atteggiamento “muscolare” da parte della Regione verso i territori per promuovere invece accordi e condivisione delle scelte.
L’assessora ha ricordato il successo dell’avviso pubblico posto alla base del Piano, coi 40 progetti presentati, molti dei quali già avviati o in fase di autorizzazione, ricordando a titolo di esempio l’impianto Iren di Scarlino, piattaforma di economia circolare autorizzata fino a 500.000 tonnellate per vari flussi, avviato senza polemiche con la popolazione.
L’assessora ha poi sottolineato il gap impiantistico regionale per la chiusura del ciclo dei rifiuti, essendo la Toscana dotata di discariche ben gestite, ma di un insufficiente numero e capacità di impianti di recupero energetico. Da qui il progetto dell’ossicombustore di Peccioli, ormai in fase finale di autorizzazione. Una nuova tecnologia pensata per chiudere il cerchio nell’Ato costa.
Ha preso poi la parola il presidente di Retiambiente Daniele Fortini, che ha ringraziato l’assessora Monni perché la Regione prima imponeva i siti degli impianti ai territori: oggi l’atteggiamento della Regione è diverso, si dialoga con i comuni, le Ato i gestori. Fortini ha ricordato che Ato Costa ha raggiunto il 72% di raccolta differenziata, e il 66% della popolazione è servito dal porta a porta, con una buona qualità delle matrici, ma mancano gli impianti di destinazione finale. Il nuovo impianto di digestione anaerobica di Pontedera è stato avviato, ma è un impianto da sole 40.000 tonnellate; poi abbiamo approvati e sono in cantiere l’impianto per il riciclo dei pannolini, così come quello per i rifiuti spiaggiati e per i rifiuti da spazzamento, finanziati dal Pnrr.
Ma per le frazioni secche non riciclabili meccanicamente? Esistono già impianti di ossidazione termica, che è ampiamente utilizzata dall’industria e molti sono operativi in Italia da oltre 10 anni: adattare questa tecnologia ai rifiuti urbani è un passo da fare su una tecnologia ormai consolidata e la Regione sta contribuendo in fase di autorizzazione a superare tutte le criticità del trattamento di rifiuti. L’obiettivo della tecnologia è azzerare l’emissione di gas climalteranti, mentre gli inceneritori emettono anidride carbonica e le discariche metano. La carbon tax impatterà sui futuri inceneritori, alcuni paesi europei come la Germania già stanno pagando l’Ets; anche per questo in Toscana si sta puntando sull’ossidazione termica. Altro aspetto fondamentale sotto questo profilo è l’autosufficienza locale, nel rispetto del principio di prossimità, per non dipendere da impianti di altri territori.
Nel merito è intervenuto poi il sindaco di Peccioli, Renzoi Macellon, che ha ricordato la storia della discarica della Valdera. Un lavoro iniziato nel 1988 che è stato capace di evitare emergenze rifiuti, costruendo un buon rapporto col territorio e costruendo una forte reputazione, che consente oggi di proporre nuove tecnologie ai decisori politici. La tecnologia da sola infatti non basta, serve reputazione e relazioni con i territori. Questo il modo per combattere la sindrome Nimby (e Nimto).
In quest’ottica il sindaco Macelloni ha proposto a Retiambiente di entrare nelle società degli impianti (digestore anerobico e ossicombustore), definendoli come impianti minimi o integrati, quindi regolati. Altrimenti in assenza di una decisione di Retiambiente e di Ato in merito, i due impianti saranno di mercato e le tariffe di accesso saranno non regolate da Arera. Una riflessione che si sta approfondendo in queste settimane. Macelloni ha ricordato che si sono fatti investimenti nel digestore anaerobico e nell’ossicombustore, per decine di milioni di euro, con risorse proprie, in un grande sforzo di investimento in cui si crede, ma ha chiesto a tutti gli altri attori ci collaborare e aiutare il processo. Paradossalmente a Belvedere fare l’ossicombustore non “conviene” avendo una discarica, ma si guarda avanti e si progetta il futuro.
Si è passati poi alle relazioni tecniche introduttive, con lo scopo di presentare una rassegna delle esperienze impiantistiche innovative europee e mondiali più interessanti nella gestione dei rifiuti.
Il prof Umberto Arena dell’Università della Campania ha fatto il punto sulla gestione dei rifiuti in Europa e in Italia, approfondendo la fra le Bat (best available techniques) e le Bref (Best available techniques reference) delle tecniche di ossicombustione, fin dal 2019. Ha poi fatto il punto sulle tecnologie di riciclo chimico e waste to chemical, finalizzato non alla produzione diretta di energia ma carburanti e molecole di sintesi, illustrando in particolare il caso giapponese, finlandese, svedese e canadese: un’ampia review degli impianti innovativi in Europa e nel Mondo, con una sintetica conclusione di valutazione della fattibilità delle diverse tecnologie. L’ultima parte della relazione è stata dedicata invece alla pirolisi, che non ha rilevato la possibilità di utilizzo di questa tecnologia per i rifiuti urbani trattati, mentre è interessante l’applicazione per i flussi di plasmix.
Il Prof. Nicola Cristiano Nicolella del Consorzio Magona ha illustrato il lavoro di valutazione che il Polo tecnologico ha fatto per una cartiera toscana, su un progetto di pirolisi degli scarti della cartiera stessa, per autoproduzione di energia. Hai poi illustrato un progetto per la produzione di etanolo, con un impianto waste to chemical che trasforma il syngas in etanolo partendo da scarti plastici, nel rispetto della direttiva europea RedII.
La seconda parte del convegno è stata invece dedicata in specifico alla tecnologia di ossidazione termica, con le relazioni del prof Michele Notarnicola del Politecnico di Bari, dell’ing. Massimo Malavasi di Itea, dell’ing, Antonio di Blase di Oxoco, dell’ing, Paolo Corvaglia di Siryo spa, e dell’ing Paolo Ghezzi di Getas.
Il Prof Notarnicola, ha illustrato un’interessante sintesi dei diversi processi termici della gestione dei rifiuti.
- La combustione (come l’incenerimento) è un processo in eccesso di comburente (aria) e a partire da un materiale solido (rifiuti), con molti fumi di combustione in quantità e qualità diverse, che brucia usando l’aria atmosferica.
- La gassificazione è processo in difetto di ossigeno e produzione di syngas (per seguente produzione energetica o impiego nell’industria chimica)
- La pirolisi, in assenza totale di comburente, quindi con basse emissioni, ma sono pochi gli impianti industriali esistenti, perché ancora ci sono molto problemi (in Danimarca si stanno superando i livelli di sperimentazione e si passa alla scala industriale)
Tutti i riferimenti sui vari tipi di impianti sono nelle Bat, con riferimenti certi normativi (2019, revisione in corso). Per il manuale Bat l’ossicombustione è una “emerging techniques”, considerata dai redattori europei una “importante evoluzione dei processi di gestione dei rifiuti, settore generalmente caratterizzato da un basso livello di emissione”. Insomma un invito a rischiare un po’ di più, come sta facendo Peccioli.
Interessanti le precisazioni tecniche di Notarnicola. Nell’ossicombustione non si usa aria atmosferica come comburente (materiale disponibile in abbondanza e gratis), ma l’ossigeno industriale (costoso ma più efficace). Tre ad oggi i processi industriali disponibili per produrre ossigeno commerciale, ma sviluppi sono attesi nella produzione di idrogeno dall’acqua per elettrolisi, processo che ha come sottoprodotto l’ossigeno, quindi accordi possibili con le Hydrogen Valley.
L’ossicombustione lavora in pressione e a temperature alte (1500 gradi) fattori che consentono l’effetto flameless ma soprattutto non ci sono emissioni di ossidi di azoto, perché viene non viene impiegata aria, ma l’azoto è solo quello presente nei rifiuti. Per questo il recupero della CO2 e dell’acqua risulta molto facile. Una combustione di ossigeno puro pressurizzato non ha fiamma visibile e il processo di combustione quindi è migliore (gli inquinanti si formano per combustione imperfetta nei trattamenti tradizionali). I metalli pesanti finiscono nelle perle di vetro, quindi confinati nel vetro e non contaminanti, per produrre aggregati per edilizia.
Interessante la precisazione sulla ipotesi di classificazione futura di questo nuovo tipo di impianto. L’ossicombustore verrà considerato nel processo di autorizzazione come un impianto di co-incenerimento. Diverse le matrici utilizzabili come feedstock: rifiuti tal quali e gli scarti del riciclo, anche per questo è un impianto dell’economia circolare.
Gli impianti presi in considerazione per i confronti sono un impianto per rifiuti industriali a Singapore e il progetto “gemello” pugliese. In Puglia si sono svolte ormai da moli anni prove sperimentali nell’impianto di Gioia del Colle, un impianto da 5 MW, che tratta sottovaglio di Tmb (codice 190501) e Css (codice 191212), due flussi con potere calorifici diversi, infatti le prove si sono svolte con ciascuna matrice singola ma anche in miscela delle due frazioni.
Nel processo di ossicombustione si usa rifiuto macinato (5 mm) e miscelato con liquidi (non acqua perché abbassa il potere calorifico), quindi percolati di discarica o di compostaggio. I risultati della sperimentazione sono molto interessati e adesso si passa alla autorizzazione su scala industriale. L’autorizzazione prevederà l’End of waste caso per caso per le perle vetrose. Ora per l’ossicombustore in progetto in Puglia è attesa l’istanza di autorizzazione, per un impianto da 80.000 tonnellate anno di rifiuti e 30.000 di percolati. Dopo un lungo periodo di attesa l’impianto pugliese partirà a breve e, insieme a quello di Peccioli, saranno i due siti italiani di questa nuova tecnologia. L’impianto pugliese avrà i seguenti output: 20.000 MWh anno di energia netta alla rete; 18.000 tonnellate anno di perle vetrose; 42.000 tonnellate di CO2 per prodotti industriali.