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L’Italia negli ultimi 30 anni ha ottenuto il 3% dei brevetti mondiali sulle tecnologie dell’acqua

Spena: «Il Forum euromediterraneo non sarà solo un’occasione di confronto sulle buone pratiche tra i Paesi partecipanti, ma un momento concreto per prendere decisioni condivise»
 |  Acqua

Si avvicina a grandi passi il Forum euromediterraneo dell'acqua, che si svolgerà presso la Nuvola dell’Eur – a Roma – dal 29 settembre al 2 ottobre del 2026. Dopo la presentazione alla Fao dei giorni scorsi a cura del ministro Tajani, oggi una nuova tappa d’avvicinamento è arrivata nell’ambito del Festival della diplomazia in corso nella Capitale, organizzato dal comitato One water – di cui fa parte anche la Ewa- Fondazione Earth water agenda –, promotore del Forum euromediterraneo sull’acqua.

«Il Forum mediterraneo – spiega la presidente del comitato One water, Maria Spena – diventerà per la prima volta euromediterraneo. Saranno 43 i Paesi partecipanti tra quelli che si affacciano sul Mediterraneo e quelli europei fino ai Balcani. Non sarà solo un’occasione di confronto sulle buone pratiche tra i Paesi partecipanti, ma un momento concreto per prendere decisioni condivise in tema di cooperazione e governance dell’acqua. Un evento internazionale, ma anche vicino ai cittadini. Concludo con un dato che dobbiamo ricordare con orgoglio: l’Italia negli ultimi 30 anni ha ottenuto il 3% dei brevetti mondiali sulle tecnologie dell’acqua».

Il respiro internazionale del Forum euromediterraneo è stato sottolineato anche da Biagio Di Terlizzi, direttore del Ciheam di Bari – sede italiana del Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei – sottolineando che «per l’Italia rappresenterà un’occasione non solo per mettere a disposizione le proprie esperienze nel settore idrico, ma anche per trarre insegnamento dai Paesi del Mediterraneo che, da sempre, affrontano la sfida della scarsità d’acqua».

Un problema con cui anche l’Italia è chiamata sempre più a fare i conti, a causa della crisi climatica in corso e di infrastrutture inadeguate ad affrontarla. Secondo i dati messi in fila dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), nell’ultimo anno quasi il 50% dell’Italia (prevalentemente sud Italia e isole maggiori) è stato colpito da siccità, mentre al nord è piovuto il 40% in più rispetto alla media.

L’acqua di per sé non manca – sebbene il trend della disponibilità idrica sia decrescente –, ma il problema è che le precipitazioni sono sempre più concentrate nel tempo e nello spazio. Per rendere la complessità della situazione, da anni circolare il dato per cui in Italia raccoglieremmo solo l’11% dell’acqua piovana, ma si tratta di un’approssimazione mediatica che non rispecchia la realtà dei fatti.

Quel che sappiamo è che lungo lo Stivale le precipitazioni annue valgono in media 296 mld mc l’anno nel periodo 2010-2023, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) sulla base dei dati forniti dal modello Big-bang dell’Ispra, e nel 2024 le precipitazioni sono arrivate a 319 miliardi di metri cubi. E anche nel 2050 le precipitazioni non dovrebbero essere diverse rispetto a quelle del 1951: -4,4%.

Sottraendo dal valore delle precipitazioni quello dell’evapotraspirazione (in forte aumento a causa del riscaldamento globale) il dato si riduce oggi a circa 140 mld mc/a, ovvero la disponibilità idrica (internal flow), mentre i prelievi idrici per uso antropico si fermano a 34. Considerando anche i fabbisogni per la vita ecologica di fiumi e laghi ad oggi l’Italia vanta un surplus idrico stimato in 63,6 mld mc/a, che nel 2050 dovrebbe ridursi a 35,5 mld mc/a. Quasi dimezzato, ma comunque un surplus.

Che fare? «Dobbiamo puntare su una manutenzione più efficace delle reti e sulla realizzazione di nuovi invasi», evidenzia Annamaria Barrile, direttrice generale di Utilitalia, sottolineando poi la situazione critica dell’agricoltura: «Il riuso dell’acqua è una pratica già esistente, ma ancora troppo poco diffusa».

Serve un Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica, di cui si parla sempre dopo ogni siccità o alluvione, per dimenticarsene subito dopo. In Italia spendiamo 7 mld di euro all’anno di risorse pubbliche e da tariffa per la gestione di tutti gli aspetti idrici, mentre ne servirebbero 10 in più, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Ewa; volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni). Al contempo occorre migliorare il contributo dell’Italia alla decarbonizzazione, perché in un pianeta in surriscaldamento continuo la disponibilità idrica non potrà che continuare a diminuire.

A che punto siamo? «Abbiamo costituito una cabina di regia, nominato un Commissario straordinario e individuato 418 progetti per una spesa complessiva di 12 mld, di cui 1 già stanziato. Ma non dobbiamo fermarci qui», conclude il sottosegretario al ministero Agricoltura Luigi D’Eramo.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.