
Ogni punto percentuale del Pil in più per le armi fa aumentare le emissioni nazionali tra lo 0,9% e il 2%

«Ogni punto percentuale di Pil in più destinato alla difesa comporta un aumento delle emissioni nazionali compreso tra lo 0,9 per cento e il 2 per cento. Solo per i Paesi Nato (esclusi gli Stati Uniti), un incremento di due punti percentuali equivarrebbe a un’aggiunta di 87-194 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno, con un costo climatico stimato in 264 miliardi di dollari. Ma c’è anche un costo opportunità: ogni miliardo investito in armamenti è un miliardo sottratto all’azione climatica. Il paradosso è evidente: si cerca sicurezza immediata, mentre si alimenta l’insicurezza climatica futura, che – con ogni probabilità – genererà nuovi conflitti. Difendersi oggi per rendere il mondo invivibile domani: un capolavoro di miopia strategica». Quello che riporta su LinkedIn l’economista e professore di logica e filosofia Matteo Motterlini è tanto un resoconto basato su dati fattuali quanto un ragionamento che difficilmente potrebbe essere tacciato di una qualche fallacia logica o argomentativa.
Del resto, come evidenzia il Conflict and environment Observatory (Ceobs), la questione non viene affrontata solo recentemente, complice magari gli ultimi impegni presi in ambito Nato, Italia compresa, di aumentare gli investimenti per gli armamenti. Ricorda l’Osservatorio conflitto e ambiente che nel “Pact for the future”, adottato dall'Assemblea generale Onu nel settembre 2024, gli Stati membri hanno espresso la loro preoccupazione per il potenziale impatto che l'aumento globale delle spese militari potrebbe avere sugli investimenti per lo sviluppo sostenibile e il mantenimento della pace. A tal fine, ricorda ancora il Ceobs, l'Assemblea generale ha chiesto al segretario generale di «fornire un'analisi dell'impatto dell'aumento globale delle spese militari sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro la fine della settantanovesima sessione».
Ebbene quest’analisi l’ha realizzata lo stesso Ceobs, e il risultato evidenzia che l'aumento globale delle spese militari ha conseguenze di vasta portata, con un impatto negativo su molteplici Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), e in primis sulle implicazioni per l'SDG 13, l’Azione per il clima, fortemente a rischio a causa dell'aumento delle spese militari.
Intanto, al netto di quanto recentemente stabilito dai paesi Nato su impulso del presidente Usa Donald Trump, il mondo ha segnato un decennio di aumento delle spese militari, con un totale globale che ha raggiunto la cifra record di 2.700 miliardi di dollari all'anno. L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, segnala il Ceobs, ha provocato un drastico aumento della spesa militare dell'Unione europea e, tra il 2021 e il 2024, la spesa militare totale degli Stati membri dell'Ue è aumentata di oltre il 30%. La stima per il 2024 è di 326 miliardi di euro, circa l'1,9% del Pil dell'Ue, e questo quando l'obiettivo Nato era del 2%, ora più che raddoppiato fino a raggiungere il 5%.
L’argomento del rapporto guerre-clima non è nuovo per il nostro giornale, e il Ceobs sottolinea che al di là dei conflitti in corso, c'è da tenere in considerazione un fatto: per come sono strutturate, le forze armate sono di per sé grandi consumatori di energia e le loro emissioni di gas serra contribuiscono in modo significativo alla crisi climatica. Tuttavia, i Paesi non registrano e segnalano sistematicamente le loro emissioni militari, per cui la quota reale di questa fonte di emissioni rimane poco chiara. L'Osservatorio sui conflitti e l'ambiente e Scientists for Global Responsibility stimano che l'attività militare quotidiana potrebbe essere responsabile di circa il 5,5% delle emissioni globali, il che significa che se le forze armate del mondo fossero un Paese, sarebbero il quarto emettitore mondiale. Inoltre, con l'aumento delle spese militari e la decarbonizzazione del resto della società, questa percentuale è destinata ad aumentare.
Un recente studio citato dall’Osservatorio sostiene che un aumento della spesa militare di un punto percentuale del Pil aumenta le emissioni nazionali complessive precisamente tra lo 0,9% e il 2%.
Ma non solo. Il Ceobs sottolinea che i governi dei Paesi sviluppati hanno specificamente tagliato gli aiuti e i bilanci per lo sviluppo per alimentare l'aumento delle spese militari. Ad esempio, il governo britannico nei mesi scorsi ha annunciato che ridurrà la spesa per gli aiuti dello 0,2% del PIL per finanziare l'aumento delle spese militari, una mossa che è stata definita «una decisione sconsiderata che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone emarginate in tutto il mondo» dal direttore generale di Bond, la rete britannica di organizzazioni che si occupano di sviluppo internazionale e assistenza umanitaria. Sotto il precedente governo, un miliardo di sterline di aiuti militari all'Ucraina è stato in parte finanziato «rinunciando ai finanziamenti per il clima e agli aiuti esteri non spesi», sottraendo fondi al programma di finanziamento internazionale per il clima e al bilancio dell'Aiuto pubblico allo sviluppo (Official Development Assistance) del Regno Unito per finanziare gli aiuti militari. Sebbene altri governi non abbiano tracciato le stesse connessioni dirette del governo britannico, questo si inserisce in una più ampia tendenza dei Paesi sviluppati ad aumentare le spese militari e a ridurre i bilanci per gli aiuti. Ciò si ripercuoterà inevitabilmente sulla capacità dei Paesi di rispettare gli impegni assunti in materia di finanziamenti per il clima, osserva il Ceobs, dato che i bilanci per gli aiuti diventano sempre più esigui.
