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Sanità, debito, energia, posti di lavoro: perché, per dirla col Sierra club, la legge di bilancio di Trump «fa schifo»

Il Congresso sta discutendo un provvedimento che il tycoon ha ribattezzato “One Big Beautiful Bill Act”, ma che di meraviglioso non ha nulla: se approvato così com’è, 12 milioni di persone rimarranno senza copertura sanitaria, il debito pubblico aumenterà di 3,3 trilioni di dollari, 1,75 milioni di posti di lavoro sono a rischio solo nel settore dell’edilizia e 500 GW di potenziale capacità di generazione di energia verrebbe cancellata
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Circa 12 milioni di persone rimarranno senza copertura sanitaria, il debito pubblico aumenterà di 3,3 trilioni di dollari, 1,75 milioni di posti di lavoro a rischio solo nel settore dell’edilizia e circa 500 GW di potenziale capacità di generazione di energia che verrebbe cancellata. Sono alcune delle conseguenze che stanno per abbattersi sugli Stati Uniti nel caso venga approvata così com’è la legge di bilancio targata Donald Trump.

A calcolare e riferire al Congresso, che sta discutendo il testo, che 12 milioni di americani potrebbero perdere la copertura sanitaria garantita da Medicaid è il Budget Office, ovvero l’ufficio del bilancio del parlamento federale statunitense, secondo cui il debito americano potrebbe inoltre aumentare di 3,3 trilioni di dollari, che andrebbero ad aggiungersi alla cifra monstre di 36 mila miliardi di dollari.

Quello ribattezzato da Trump e soci come “One Big Beautiful Bill Act” ha dunque poco di meraviglioso. E non solo per questi motivi. Come già evidenziato nelle scorse settimane dai Democratici e da numerose sigle ambientaliste, Ong e associazioni del terzo settore, siamo di fronte a una legge di bilancio che l’economista Paul Krugman ha definito «da incubo». Toglie ai più vulnerabili e dà ai ricchi, come un Robin Hood al contrario, rilancia trivelle e combustibili fossili e penalizza le rinnovabili, incassa bocciature a destra (Elon Musk ha ripreso fiato tornando ad attaccare il tycoon per questo provvedimento) e a manca (anche un personaggio ultimamente parco di uscite come l’ex presidente Barak Obama ha duramente criticato).

Il Senato ha dato via libera al dibattito formale con un margine molto risicato (51 sì a 49 no), il che non ha fatto piacere a Trump, che sul suo social Truth ha preso di mira due esponenti Repubblicani che non hanno votato come da indicazione del partito. E se tra le stesse fila dei sostenitori del presidente Usa non mancano dubbi e posizioni contrarie al provvedimento, economisti, organizzazioni sociali e associazioni ambientaliste evidenziano in queste ore tutti i danni che si appresta a provocare la legge fortemente voluta da Trump. Come evidenzia il fondatore della piattaforma per le energie pulite Cleanview, Michael Thomas, l’accanimento sulle rinnovabili costerà caro agli Stati Uniti, che «avranno bisogno di circa 450 GW di nuova capacità di produzione di energia elettrica entro il 2030 per soddisfare la crescente domanda di data center, reshoring, ecc. e il Senato sta votando una legge che potrebbe cancellare circa 500 GW di potenziale capacità di generazione di energia». Non solo. Sempre Thomas dà risalto al fatto che un sindacato come il Nabtu (North America's Building Trades Unions) che rappresenta i 3 milioni di lavoratori edili americani, ha appena dichiarato che la legge del Senato sarebbe «la più grande legge che annienta i posti di lavoro nella storia del nostro Paese»: secondo le loro previsioni, il cosiddetto One Big Beautiful Bill Act minaccia fino a 1,75 milioni di posti di lavoro solo nel settore edile.

Ma non è finita qua. Il provvedimento consentirebbe anche la vendita di terreni pubblici a privati per sfruttarli ai loro fini aziendali. La motivazione dei Repubblicani è che questo consentirebbe di mettere in campo cospicui aiuti fiscali. Ma, come sottolinea il Sierra club, queste «terre dovrebbero essere svendute per finanziare tagli alle tasse per i ricchi»: «Il Congresso deve ascoltare i propri elettori, non i miliardari e i costruttori privati, e mantenere il “pubblico” nelle terre pubbliche», è il monito che lancia l’autorevole e antica associazione ambientalista statunitense. Una versione di questa proposta che presentava aspetti estremi di svendita delle aree naturali è stata ritirata, e «questa è una vittoria per tutti coloro che fanno escursioni, cacciano, esplorano e amano questi luoghi – dice il Sierra club –  ma non è la fine delle minacce alle nostre terre pubbliche»: «Donald Trump e i suoi alleati al Congresso hanno chiarito che useranno ogni strumento a loro disposizione per cedere le nostre terre pubbliche a miliardari e inquinatori aziendali, sia che si tratti della vendita, sia che si tratti di affittarle agli amministratori delegati delle Big Oil per pochi centesimi di dollaro, sia che si tratti di eliminare il processo di autorizzazione e supervisione per lo sviluppo industriale. Questa battaglia non è finita e continueremo a lavorare per mantenere il ‘pubblico’ nelle terre pubbliche».

La conclusione dell’associazione statunitense, che sta seguendo passo dopo passo la discussione della legge di bilancio al Congresso, è lapidaria: «Questa legge fa schifo, i sondaggi mostrano che nessuno la vuole, e ogni leader eletto che voterà a favore si pentirà della sua vergognosa decisione di mettere gli inquinatori davanti ai cittadini».

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.