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Respinta la mozione di sfiducia contro von der Leyen, ma a salvarla è solo la metà esatta degli eurodeputati

Contro l’iniziativa messa in atto dall’esponente della destra rumena Piperea hanno votato in 360. Tra questi, gli europarlamentari del Pd, di Forza Italia e dei Verdi. Hanno votato invece a favore Lega e M5S. Imbarazzo dei Fratelli d’Italia: messi di fronte al bivio tra la presidente della Commissione Ue e gli alleati di destra, hanno abbandonato l’aula
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Come da programma, il Parlamento europeo ha bocciato la mozione di sfiducia contro Ursula von der Leyen e la Commissione che presiede. Non altrettanto prevedibile era invece che il sostegno al vertice comunitario si fermasse al minimo sindacale: la metà esatta dei 720 europarlamentari.

Al voto hanno partecipato 553 eurodeputati. Per passare, la mozione presentata dall’esponente della destra rumena Gheorghe Piperea per il cosiddetto “Pfizergate”, avrebbe dovuto incassare 360 voti a favore (ovvero la maggioranza degli aventi diritto) e i due terzi dei voti espressi. Invece la votazione, che si è svolta per appello nominale, si è chiusa con 360 voti contrari, 175 a favore e 18 astensioni. In 167 sono usciti dall’aula e non hanno partecipato alla votazione.

Von der Leyen ha portato a casa un importante risultato, ma l’analisi dei numeri dice che per i prossimi mesi non può star tranquilla e molto probabilmente dovrà rivedere determinate dinamiche emerse in queste ultime settimane: 360 voti a suo sostegno sono la metà esatta dei 720 eurodeputati, sono 10 voti in meno di quelli (già pochi) che ha incassato a novembre per l’insediamento della Commissione e sono ben 41 in meno di quanti ne ha raccolti esattamente un anno fa dopo la sua candidatura da parte del Consiglio Ue. E, nonostante oggi abbia incassato l’appoggio dei due principali gruppi presenti a Strasburgo, ovvero Partito popolare europeo e Socialisti & Democratici, le frizioni innescate proprio tra questi due gruppi per via delle ambiguità sull’Agenda verde europea da parte dei Popolari (di cui fa parte la stessa von der Leyen) e le ripetute votazioni del Ppe insieme ai gruppi di destra (su questioni inerenti al Green deal e non solo) rappresentano un nodo che va sciolto presto e una volta per tutte. Non a caso, i vertici del gruppo S&D, che nei giorni scorsi hanno preteso un faccia a faccia con la presidente della Commissione Ue dopo il ritiro della normativa anti-greenwashing, oggi hanno dato un segnale votando contro la mozione di sfiducia («abbiamo ottenuto il Fondo sociale», hanno spiegato) ma facendo filtrare che comunque nelle prossime settimane deve arrivare un chiarimento politico sull’asse politico che sostiene l’esecutivo comunitario.

Il romeno Piperea, che siede insieme agli eurodeputati di Fratelli d’Italia nel gruppo Ecr, ha tentato la mossa contro von der Leyen proprio con l’idea di sfruttare le frizioni che ultimamente stanno sorgendo sempre più spesso tra il gruppo dei Socialisti & Democratici e il Partito popolare europeo. A uscirne peggio però sono stati gli europarlamentari del partito di Giorgia Meloni, che siedono proprio nell’Ecr. Il resoconto del voto dice proprio questo. Gli esponenti del gruppo S&D, dopo una lunga riunione serale, hanno optato per evitare l’astensione (con cui volevano mandare un chiaro segnale a von der Leyen) e hanno votato contro la mozione. Idem gli eurodeputati del Ppe (tra i quali ci sono gli eletti di Fratelli d’Italia) e dei Verdi. Hanno votato a favore della mozione, limitando lo sguardo agli italiani, M5S e Lega. Del resto, per quanto riguarda il “collega” di quest’ultimo partito, il premier ungherese Viktor Orbán, quello di oggi era «il momento della verità: da una parte l'élite imperiale brussellese, dall'altra i patrioti e il buon senso. Non si può evitare, bisogna fare una scelta».

Gli eletti di Fratelli d’Italia invece questa scelta non l’hanno fatta. Mentre i loro colleghi di gruppo votavano a favore della mozione di sfiducia, sono usciti dall’aula per evitare di rompere con gli alleati di destra (nel caso avessero votato no alla sfiducia o si fossero astenuti) o di rimangiarsi tutto quello che hanno sostenuto in passato sulla presidente della Commissione Ue, che infatti non avevano sostenuto col loro voto nella seduta di conferma dell’anno scorso.

C’è chi dice che gli esponenti Fdi non abbiano votato a favore della mozione presentata dal collega del gruppo Ecr anche perché mentre a Strasburgo si votava, von der Leyen era a Roma per il vertice sull’Ucraina, gomito a gomito con Giorgia Meloni, che non poteva certo far passare uno sgarbo di questo tipo. Ma questo è un dettaglio che può anche essere lasciato stare. A pesare di più sul mancato sostegno all’iniziativa di Piperea, invece, è il fatto che la mozione di sfiducia avrebbe colpito anche il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto, dirigente di Fratelli d’Italia. Il partito di Meloni aveva insomma le mani legate, da questo punto di vista. E subito ne ha approfittato l’alleato di governo Matteo Salvini, dando chiara indicazione ai leghisti presenti a Strasburgo di votare la mozione di sfiducia. Il messaggio lanciato è chiaro: ecco chi vuole fare chiarezza su come è stata gestita la vicenda dei vaccini durante il Covid e chi invece si volta dall’altra parte perché sta con l’élite di Bruxelles.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.