Emissioni, guerre e non solo: col riarmo finiranno nell’atmosfera ulteriori 1.320 tonnellate di CO2
Che le guerre portino morte e distruzione è piuttosto evidente. Che provochino anche inquinamento dei terreni e massicce emissioni nell’atmosfera di gas serra forse lo è meno, ma neanche poi tanto. Si tratterà pure di segreti militari e di dati esclusi dagli accordi globali sul clima, ma docenti universitari ed esperti di diversi enti di ricerca qualche analisi in proposito l’hanno fatta, arrivando a risultati da far sgranare gli occhi: solo nei primi mesi seguiti all’invasione dell’Ucraina, dunque prima che Israele iniziasse a bombardare Gaza, sono state stimate emissioni da guerre tra 1,6 e 3,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero tra il 3,3% e il 7% delle emissioni globali. E le politiche per il riarmo? Forse in questo caso è ancora meno evidente quanto contribuiscano in fatto di inquinamento ed emissioni di gas climalteranti, ma il problema c’è eccome. E ci riguarda anche come italiani, considerando che il governo si è impegnato a portare la spesa per la difesa al 5% dei Pil nazionale entro il 2035. Lasciando stare le bagatelle italiane – come il tentativo di far rientrare in questo capitolo di spesa anche il Ponte sullo Stretto (furbata sonoramente bocciata dagli Stati Uniti) e la questione su come faremo a passare dagli attuali 32 miliardi all’anno per la difesa ai promessi oltre 100 – emerge invece in tutta evidenza questo dato: il riarmo deciso in sede Nato porterà a emettere nell’atmosfera per i prossimi 10 anni ulteriori 1.320 tonnellate di CO2 equivalente.
A fare il calcolo sono stati i ricercatori dell’organizzazione britannica Scientists for Global Responsibility. Uno studio condotto dal fisico Stuart Parkinson parte dal fatto che nel 2024 la spesa militare globale «ha raggiunto la cifra sbalorditiva di 2.700.000.000.000 di dollari, il 9% in più rispetto all’anno precedente, al netto dell’inflazione». Viene anche sottolineato che si tratta dell’investimento in armamenti più alto mai fatto dalla fine della Guerra Fredda, e forse anche durante la stessa. Le Nazioni Unite hanno sottolineato che questa cifra è simile al Pil totale di tutte le nazioni africane e circa 13 volte superiore agli aiuti esteri forniti dai paesi più ricchi al Sud del mondo.
Il passaggio successivo dell’analisi è un focus sulla Nato, che rappresenta circa il 55% della spesa militare mondiale, e sulla decisione dei Paesi aderenti di portare le spese nazionali per la difesa al 5%. Considerando che i mezzi militari consumano enormi quantità di combustibili fossili e che le attrezzature per la difesa dipendono da catene di approvvigionamento di materiali ad alto consumo di carbonio come acciaio, alluminio e metalli estratti dalle cosiddette terre rare, i ricercatori scrivono che «l’impronta di carbonio globale delle forze armate, comprese le loro catene di approvvigionamento ma esclusi gli impatti della guerra stessa, è stimata pari a circa il 5,5% delle emissioni globali».
Se è vero che l’aumento della spesa militare aumenterà queste emissioni, gli stessi scienziati riconoscono che la relazione esatta tra la spesa militare e le emissioni di carbonio militari è molto complessa e non facile da prevedere. «Ad esempio, i finanziamenti supplementari saranno utilizzati principalmente per aumentare l’attività militare, portando ad un aumento dell'uso di combustibili fossili da parte degli aerei da combattimento o delle navi da guerra? Oppure i finanziamenti saranno utilizzati per aumentare il numero del personale militare, portando ad un aumento del consumo energetico nelle basi militari o alla costruzione di nuove basi? Oppure i fondi supplementari saranno destinati principalmente all'espansione della produzione di armi, con un conseguente aumento del consumo energetico nell’industria o nella produzione di materie prime ad alto tenore di carbonio? Le emissioni di carbonio supplementari nella catena di approvvigionamento potrebbero verificarsi al di fuori del paese di origine, rendendole più difficili da monitorare. Vi è poi anche la questione degli effetti aggiuntivi sul riscaldamento globale dovuti alle emissioni non-CO2 prodotte dall’aviazione nella stratosfera».
I ricercatori hanno allora valutato i risultati di 11 studi condotti negli ultimi due anni per arrivare a una stima dell’impatto che avrebbe l’aumento della spesa militare sulle emissioni di carbonio. E il risultato a cui sono arrivati Parkinson e il suo team è questo: «La nostra revisione ha concluso che un aumento standardizzato della spesa di 100 miliardi di dollari porterà a un aumento dell’impronta di carbonio militare di circa 32 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (tCO2e). Tuttavia – proseguono – l’incertezza di questa cifra è elevata, a causa dei dati limitati sulle emissioni militari e delle complessità sopra descritte. Pertanto, la cifra relativa all’aumento delle emissioni potrebbe arrivare fino a 59 milioni di tCO2e». E ancora: «Applicando questa analisi a un caso specifico, abbiamo scoperto che l’aumento della spesa militare della Nato nel quinquennio 2019-24 ha portato a un aumento della sua impronta di carbonio militare di circa 64 milioni di tCO2e, simile alle emissioni territoriali del Bahrein. Inoltre, l’aumento previsto per raggiungere l’obiettivo di spesa del 3,5% del Pil comporterà probabilmente un ulteriore aumento di circa 132 milioni di tCO2e, superiore alle emissioni territoriali del Cile. È importante notare che si tratta di totali relativi a un solo anno e quindi, se la spesa sarà mantenuta ai livelli più elevati attualmente previsti, ci sarà un impatto cumulativo significativo delle emissioni sul sistema climatico. Ad esempio, dieci anni di spesa extra da parte della Nato (al di sopra dei livelli del 2024) aggiungerebbero circa 1.320 tCO2e, equivalenti alle emissioni annuali dell’intero Brasile».
L’articolo di presentazione dello studio condotto da Parkinson si chiude con un paragrafo intitolato «Il bisogno della pace», ma al di là del sacrosanto appello a «dare priorità agli sforzi di costruzione della pace negli affari globali», al di là della sempre valida sottolineatura che «è essenziale un uso molto maggiore della diplomazia, della mediazione e della costruzione della fiducia», viene detta anche un’altra cosa, molto semplice, chiara anche a chi non è un fisico come Parkinson ed è in possesso solo dei più basilari rudimenti della matematica: con il riarmo, e le conseguenti aggiuntive emissioni di gas serra, il più ambizioso obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C è sicuro che non verrà centrato: senza un’azione« immediata e trasformativa» per ridurre le emissioni, scrivono, «sarà superato entro pochi anni».