Trump schiera le navi contro il Venezuela, ma chi crede ancora nell’esportazione della democrazia con le armi?
Dopo gli atti di deliberata pirateria cui abbiamo assistito nel Mediterraneo a danno della Global Sumud Flotilla (inizi di ottobre) - ricordiamo che si trattava di un convoglio pacifico e non violento che trasportava cibo, latte in polvere, medicine e volontari da 47 Paesi e diretti alla popolazione della striscia di Gaza e in quell’occasione, centinaia di volontari che partecipavano all’operazione furono rapiti e, a quanto riferirono le cronache del tempo, portati a bordo di una grande unità – dopo che tutto ciò avvenne ad una cospicua distanza dalla costa (circa 150 miglia) in cui in tutta evidenza lo Stato di Israele non esercita (e non potrebbe esercitare!) alcuna giurisdizione, quindi in assoluta mancanza di qualsiasi legittimità, ora ci sono altre notizie riguardanti le attività in mare.
Apprendiamo adesso che una imponente forza militare, composta da quindicimila uomini, oltre ad una dozzina di navi da guerra americane - tra le quali emerge per imponenza la USS Gerard Ford, con la sua enorme potenza offensiva dovuta ai marines imbarcati e dei mezzi navali a seguito - ha cambiato lo scenario del cosiddetto blocco navale (totalmente illegittimo!), della costa venezuelana iniziato per ordine di Trump lo scorso agosto.
In tal modo, sembra evidente che l'operazione anti-Venezuela voluta da Trump sia pronta per partire. L'obiettivo dichiarato del presidente americano non è ancora del tutto chiaro: nonostante abbia parlato pubblicamente di lotta contro la droga, Trump ha anche accennato al destino del presidente della nazione sovrana venezuelana, Nicolas Maduro (e del petrolio venezuelano?) -, senza però definire in maniera chiara l'obiettivo finale di questo sconsiderato aumento della pressione militare esercitata su Caracas.
Il New York Times ha riportato, che Trump ha annullato i colloqui sulla proposta di Maduro di concedere agli Stati Uniti i diritti su quasi tutte le riserve petrolifere del paese senza ricorrere a un'azione militare. Per la Casa Bianca, comunque, le trattative non sono completamente morte e l’incertezza su questo punto ha spinto molti osservatori ad ipotizzare che Trump persegue un cambio di regime nello Stato Sudamericano. Osservatori dell’Ue hanno, inoltre, riferito che gli Stati Uniti hanno aumentato la tensione nell’area caraibica per saggiare la reazione di Maduro, sperando che lasci il Paese o sia catturato e perseguito dagli Usa – e non si capisce in base a quale diritto gli Usa possano diventare i gendarmi del mondo!
L’operazione Southern Spear - così è stata battezzata l’imponente operazione militare in atto da mesi e che vede una massiccia presenza militare degli Usa nei Caraibi - per stessa ammissione di Trump è ufficialmente finalizzata a contrastare traffici di droga e ingressi irregolari verso il territorio americano.
Il presidente Maduro ha lanciato un appello al Paese e, segnatamente alle regioni orientali di Bolívar, Delta Amacuro, Monagas, Anzoátegui, Nueva Esparta e Sucre per organizzare «una veglia e una marcia permanente nelle strade»; inoltre, intervenendo ad un evento a Caracas, ha invitato tutte le forze popolari, sociali, politiche, militari e di polizia del Paese a «non cedere alle provocazioni in nessun momento, ma a mobilitarsi con fervore patriottico» nel rifiuto delle «navi imperialiste» e delle «minacce militari».
Un appello è stato lanciato dalla premio Nobel per la Pace, Maria Corina Machado, ai militari venezuelani affinché depongano le armi e smettano di obbedire a ordini del regime di Nicolas Maduro. Un appello contenuto in un messaggio audio diffuso attraverso i suoi canali social: l'ora decisiva è imminente, e secondo la Machado «trenta milioni di cittadini» si stanno ribellando contro «un regime criminale che sta per cadere». Appare evidente che la Machado vuole sostenere uno scontro col governo venezuelano e che, forte del sostegno americano, pensa di riuscirvi.
Il rischio politico interno per Trump assume profili sempre più preoccupanti alla luce del fatto che la coalizione politica che lo ha riportato alla Casa Bianca anche con la promessa di evitare nuove guerre all’estero è palesemente contraria a trascinare gli Usa in un altro conflitto. Degno di nota appare il fatto che figure di assoluto rilievo come il vicepresidente J.D. Vance e lo stesso Pete Hegseth (capo del Pentagono), entrambi veterani della guerra in Iraq, hanno più volte espresso scetticismo verso interventi militari estesi. Un membro repubblicano del Congresso ha sottolineato: «Gli americani non hanno rieletto Trump per trascinarli in un conflitto in America Latina. Senza un impegno duraturo da parte del presidente, ogni tentativo di sostenere l’opposizione venezuelana rischia di fallire».
Ricordiamo, infine, che anche durante il suo primo mandato (nel 2019), Trump provò a rovesciare il regime di Maduro senza però esserci riuscito; anche nel 2002, quando il Presidente George W. Bush - repubblicano anche lui - fu testimone del fallimento del golpe contro Hugo Chavez. La propaganda americana sulla lotta alle dittature ha oramai compiuto il suo percorso e la credibilità di un leale sentimento democratico che ispira gli Usa a muoversi in queste imprese è veramente ridotto ai minimi termini: dall’Iraq in poi, nessuno seriamente crede più all’esportazione della democrazia da parte dei governi a stelle e strisce.