
Libertà di opinione? I negazionisti climatici vogliono di più: il diritto di decidere cosa è un fatto

Al Parlamento europeo è andato in scena un concentrato di quel che significa essere negazionisti climatici. C’è chi ha rivendicato la propria libertà di sostenere tesi anche contrarie a quel che osservano, verificano e divulgano gli scienziati. Chi ha detto che è da regimi totalitari voler impedire di diffondere notizie e opinioni quali che siano, perché chi è che decide se sono effettivamente false e infondate? E chi ha scomodato perfino il Grande fratello di orwelliana memoria, per questo voler convincere tutti che siamo in presenza di una vera e propria crisi climatica, quando fa semplicemente caldo e piogge improvvise e più abbondanti del solito sono capitate spesso anche in passato.
Tutto è partito da un dibattito sull’impegno della Commissione europea a contrastare la disinformazione sul clima, quell’insieme cioè di pratiche che, spiegano da Bruxelles nel caso ce ne fosse ancora bisogno, vanno «dal totale negazionismo e dalle teorie complottiste a una disinformazione più sottile e insidiosa, che cerca di confondere le acque sostenendo che i cambiamenti climatici non sono provocati dall’uomo o non sono così preoccupanti come affermano gli scienziati e pertanto non richiedono azioni urgenti».
Ebbene, per gli europarlamentari dei gruppi di destra questa iniziativa dell’esecutivo comunitario è un modo per limitare la libertà di espressione. Come hanno riportato testate attente a seguire le attività di Bruxelles e Strasburgo, ieri all’inizio del confronto avviato in commissione Ambiente su tale argomento, Emil Andersen, della Direzione generale ambiente della Commissione, ha detto che «come cittadini di una società libera, ognuno di noi ha diritto alle proprie opinioni, ma non ai propri fatti». Ed è scoppiato il putiferio.
Chi stabilisce quali sono realmente i fatti? Eccola la questione messa sul tavolo soprattutto dagli esponenti del partito tedesco di destra Alternative für Deutschland (AfD). Quello della Commissione, ha tuonato Anja Arndt, è «un attacco frontale alla libertà di espressione, alla libertà della scienza e alla verità». E il collega di partito nazionalista e anti-immigrati, Marc Jongen, che tra parentesi è altoatesino (è nato a Merano, dopo il diploma è andato a studiare filosofia a Vienna e da una decina di anni ha la doppia cittadinanza italo-tedesca), ci ha messo il carico: «Se la Commissione decide ora cosa è un fatto e cosa non lo è, cosa è un’opinione e cosa non lo è, allora siamo sulla strada verso un sistema totalitario». Più morbidi i toni a cui sono ricorsi gli esponenti del Partito popolare europeo, ma la sostanza è stata la stessa: si sa da anni che il metodo del fact-checking funziona, che è uno strumento utile per smascherare fake news e smontare teorie basate su strampalate teorie pseudoscientifiche, ma per l’europarlamentare del Ppe Sander Smit i fact-checker rendono «impossibile un certo tipo di discussione» e guai se la Commissione si azzardasse a fare «un passo troppo lungo» finanziando i fact-checker durante le campagne elettorali.
Emil Andersen ha replicato che non è la Commissione a stabilire cosa è un fatto, che questo ruolo spetta agli scienziati con analisi e teorie verificabili e smentibili dall’intera comunità scientifica internazionale. E gli europarlamentari progressisti, dal canto loro, hanno sottolineato che nulla di buono è mai arrivato quando si sono anteposte le opinioni, le ideologie, ai fatti scientificamente dimostrabili. Bruno Tobback, del gruppo Socialisti & Democratici, ha rievocato le vicende di Copernico e Galileo, «che avevano dalla loro parte la scienza e i fatti», ma furono messi all’indice o addirittura costretti all’abiura perché le loro teorie sul movimento dei pianeti non collimavano con l’allora dominante «ideologia retrograda»: «Non torniamo ai giorni bui della storia europea, in cui il dogma e le opinioni ci hanno frenato, o hanno cercato di frenarci, fortunatamente senza successo».
La crisi climatica non è un’ideologia, ha fatto notare Gerben-Jan Gerbrandy, capo negoziatore del gruppo Renew sul disegno di legge sugli obiettivi climatici per il 2040. Ora quel testo è in mano proprio ai negazionisti climatici, per corresponsabilità del Ppe: quello che è il principale gruppo presente a Strasburgo, prima non ha lavorato per assicurarsi il ruolo di relatore della legge, poi ha votato contro la proposta del gruppo S&D di mettere il testo su una corsia preferenziale per votarlo subito e non lasciare al gruppo dei Patrioti il tempo per smontare la proposta sul taglio del 90% delle emissioni messa sul piatto dalla Commissione europea.
E così ora quegli europarlamentari che, dietro la denuncia del tentativo di limitare la loro libertà di espressione, pretendono di decidere al posto della scienza quali siano i fatti, discuteranno ora il cuore delle politiche ambientali europee. Sono, giusto per offrire un’altra istantanea di quel che sta succedendo al Parlamento europeo sulle questioni legate alla crisi climatica, gli stessi europarlamentari che si sono messi a ridacchiare mentre si discuteva della legge sul clima: si è dovuto ricordar loro – lo ha fatto l’eurodeputata del gruppo S&D Annalisa Corrado – che ridacchiavano mentre si parlava di una questione che ha provocato la morte di centinaia di persone che non hanno resistito a intense ondate di calore o che sono state travolte da drammatiche alluvioni. Anche questi sono dei fatti. O no?
