Obiettivo climatico europeo, la spuntano i sostenitori della «flessibilità»: -90% al 2040 ma con molte incognite
Dopo mesi di negoziati, una fumata nera al Consiglio europeo di una decina di giorni fa, una seduta fiume dei ministri dell’Ambiente dell’Ue che si è chiusa nella notte con un nulla di fatto, questa mattina è stata siglata un’intesa che è stata votata a maggioranza qualificata e non all’unanimità. Il tema è il taglio delle emissioni di gas serra al 2040: la Commissione Ue ha proposto nei mesi scorsi una riduzione del 90% rispetto ai livelli del 1990 e, dopo aver incassato il niet di diversi Stati membri, ha corretto un po’ il tiro introducendo al possibilità di una serie di flessibilità. Anche su portata e margine di queste flessibilità però i rappresentanti dei Paesi Ue hanno discusso. E ieri, giusto in tempo per non arrivare alla Cop30 di Belém che si apre il 10 novembre, il Consiglio Ambiente ha dato via libera a un compromesso che comunque ha incassato il voto contrario di Slovacchia, Ungheria e Polonia. Belgio e Bulgaria si sarebbero astenute. L’elenco totale dei non favorevoli non è ancora chiaro: la presidenza danese si è limitata a spiegare che l’intesa è stata votata da 21 Paesi membri comprendenti l’81,9% della popolazione europea. Quel che è certo, è che l’Italia ha votato a favore perché, come ha spiegato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, si è trovato quello che a suo giudizio è «un compromesso buono». La Commissione Ue, ha fatto sapere il titolare del Mase, «ha riconosciute le istanze che riguardavano lo slittamento di un anno dell’Ets2», ed è anche «la prima volta che si portano nella proposta di parte normativa i biofuel, i biocarburanti», e inoltre «ha dato disponibilità non solo a passare dal 3 al 5% dei crediti di carbonio internazionali ma anche ad inserire in fase di revisione un ulteriore 5% a valere sui crediti domestici». L’Italia, insieme alla Francia, era tra i Paesi che maggiormente si sono battuti per alzare la percentuale dal 3 proposto da Bruxelles al 5%.
Insieme all’intesa sui target 2040 è arrivato anche l’accordo tra i 27 Paesi Ue sul contributo determinato a livello nazionale (Ndc). Il range sul quale è stato trovato un accordo prevede un taglio delle emissioni compreso tra il 66,25% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990. Range su cui ancora siamo comunque ancora molto lontani.
Il testo approvato questa mattina prevede, nel dettaglio, una serie di modifiche contenute nel mandato negoziale rispetto alla proposta iniziale della Commissione Ue, a cominciare proprio dal capitolo riguardante il contributo dei crediti internazionali, che aumenta dal 3 al 5%: saranno iniziati ad essere conteggiati dal 2036 ma con una fase pilota dal 2031 al 2035. L’uso dei crediti, si legge nel testo siglato, corrisponde «a una riduzione delle emissioni nette di gas serra a livello nazionale dell’85% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2040». Il contributo dei crediti internazionali, che dovranno essere di «alta qualità», dovrà essere «ambizioso ed efficiente in termini di costi». Si specifica inoltre, come anticipato nei giorni scorsi, che l’Ue potrà contribuire all’obiettivo climatico 2040 anche stoccando CO2 al di fuori dell’Unione, fatta salva l’esistenza di accordi internazionali che prevedono condizioni equivalenti a quelle stabilite dal diritto comunitario.
Fermo restando che, allo stato attuale, già rispetto al target dell’85% previsto siamo molto in ritardo, l’intesa raggiunta oggi prevede anche una clausola di revisione che potrebbe costituire un ulteriore freno, in futuro: a partire da un anno dopo l’adozione del regolamento e poi ogni due anni, infatti, la Commssione Ue dovrà valutare e riferire in merito all’attuazione degli obiettivi intermedi e delle traiettorie di decarbonizzazione stabiliti, tenendo conto delle più recenti prove scientifiche, dei progressi tecnologici e delle sfide e opportunità in evoluzione per la competitività globale dell’Ue. Visti i precedenti, è difficile che eventuali modifiche vengano viste al rialzo, mentre è da temere delle manovre per andare al ribasso, circa l’«ambiziosità» di cui si parlava, a beneficio invece dei «costi» da tenere sotto controllo. La revisione della legge climatica, già prevista attualmente dal regolamento che deve essere fatta entro sei mesi da ogni bilancio globale della Cop, potrà tra l’altro riguardare anche la possibile modifica dell’obiettivo climatico 2040. Nella sua revisione, infatti, la Commissione Ue dovrà tenere conto anche degli effetti sull’occupazione e dell’evoluzione dei prezzi dell’energia e dell’impatto sulle industrie europee e sulle famiglie.
Circa l’Ets2, finalizzato a ridurre le emissioni di settori chiave – trasporti, riscaldamento e Pmi – finora esclusi dal mercato del carbonio dell’Unione europea, il testo di compromesso prevede anche il rinvio di un anno dell’entrata in vigore, cioè non più dal 2027 bensì dal 2028. Si tratta di una novità contenuta in un articolo aggiuntivo alla legge sul clima, considerato che finora ogni decisione era rinviata alla seconda metà del 2026 in base a una valutazione sui costi dell’energia nel primo semestre del prossimo anno.
La Commissione Ue accoglie con favore «il rafforzamento dell’ambizione climatica dell’Ue in vista della Cop30 in arrivo». Ma l’intesa raggiunta dai vertici Ue non soddisfa però la galassia ambientalista, che chiedeva molto più coraggio a Bruxelles e alle altre capitali europee. Mathieu Mal, responsabile delle politiche per l’agricoltura e il clima dell’European environment bureau (Eeb), ha dichiarato: «La politica climatica dell’Ue dovrebbe basarsi sull’integrità scientifica, non sulla convenienza politica. Eppure, dopo aver propagandato per mesi le loro liste di desiderata piene di scappatoie, alcuni governi sono pronti ad abbassare le ambizioni e a mettere ulteriormente in pericolo l’azione per il clima». Quella che era di fronte ai vertici comunitari, in queste settimane e fino a stamattina, era una scelta precisa: «Alimentare una corsa globale al ribasso o fare un passo avanti e guidare il mondo nell’affrontare l’emergenza climatica sempre più grave». A Bruxelles, hanno scelto la prima strada. Ha dunque aggiunto l’esponente di quella che è la più grande rete di associazioni ambientaliste europee: «Per sostenere l’azione globale per il clima, l’Ue deve dare l’esempio. Oggi i governi nazionali non sono riusciti a farlo, spingendo invece per un obiettivo climatico annacquato, pieno di flessibilità debilitanti e non basato su pareri scientifici. Senza un obiettivo solido di riduzione delle emissioni nette di almeno il 90%, da attuare all’interno dei nostri confini, l’Ue non solo rischia di ritardare investimenti vitali nella transizione interna, ma mette anche a repentaglio la sua credibilità internazionale nei prossimi negoziati della Cop30».