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Di questo passo arriverà a 6,6 trilioni di dollari entro il 2035

La spesa militare globale è salita a 2,7 trilioni di dollari, pari al Pil di tutta l’Africa

Un mondo più sicuro inizia dalla lotta alle povertà. Guterres (Onu): «Nel 2026 invito i leader di tutto il mondo a impegnarsi seriamente. Scegliete le persone e il pianeta invece del dolore»
 |  Green economy

Mentre entriamo nel nuovo anno, il mondo si trova a un bivio. «Siamo circondati dal caos e dall'incertezza – dichiara il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nella sua dichiarazione in vista del Capodanno –  Divisione. Violenza. Crisi climatica. E violazioni sistemiche del diritto internazionale. Un allontanamento dai principi stessi che ci uniscono come famiglia umana». Che ha un termometro ben preciso: la continua corsa degli investimenti sulle spese militari.

Oltre un quarto dell'umanità vive oggi in aree colpite da conflitti armati e si prevede che la spesa militare globale più che raddoppierà, passando da  2,7 trilioni di dollari nel 2024 (+10% sull’anno) a ben 6,6 trilioni di dollari entro il 2035, se le tendenze attuali persisteranno. Già oggi si tratta di una cifra pari all’intero Pil dell’Africa, e ne basterebbe il 4% per porre fine alla fame nel mondo. Per non parlare dell’impatto climalterante: ogni punto percentuale del Pil in più per le armi fa aumentare le emissioni nazionali tra lo 0,9% e il 2%.

«È chiaro che il mondo ha le risorse per migliorare le vite, guarire il pianeta e garantire un futuro di pace e giustizia – afferma Guterres – Nel 2026, invito i leader di tutto il mondo a impegnarsi seriamente. Scegliete le persone e il pianeta invece del dolore».

Una scelta cui siamo chiamati sempre più anche in Europa. Come già argomentato su queste colonne da Monica Frassoni «riarmarsi a tutta birra e individualmente, magari sostenendo con ingenti fondi pubblici imprese nazionali che competono fra loro sugli stessi dispositivi, lasciando da parte politiche sociali e climatiche, non ci renderà né più autonomi né più sicuri. L’Ue è molto più forte di ciò che i suoi nemici vogliono farci credere e non ha bisogno di 27 eserciti armati fino ai denti per dimostrarlo».

Si tratta di un messaggio ampiamente in linea con quello ecologista proposto dal grande economista Nicholas Georgescu-Roegen, ispiratore della moderna economia ecologica, che ha lasciato in eredità al mondo un Programma bioeconomico minimale, fondato sull’idea di ridurre gli sprechi e di usare le risorse scarse a nostra disposizione per godersi le comodità prodotte dallo sviluppo tecnologico. Un programma in otto “semplici” punti, in vetta ai quali spicca un’esortazione categorica: «La produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita».

Un orizzonte cui oggi anche l’Ue e i suoi Stati membri sono chiamati a riflettere, per aumentare la difesa del Vecchio continente senza portare a una corsa al riarmo nazionale; già oggi la spesa militare degli Stati membri e Nato europei eccede quella russa del 56%, ma è il mancato coordinamento tra le forze armate a rendere deboli. Se dunque sembra oggi inevitabile dover aprire a nuovi investimenti in difesa e armamenti per garantire una maggiore autonomia strategica all’Ue rispetto all’alleato (ex?) statunitense, è indispensabile metterli in campo attraverso una regia e un debito unico in Europa, improntando ogni spesa aggiuntiva all’efficienza, senza togliere spazio agli ancora più necessari investimenti in welfare e contro la crisi climatica; altrimenti, la conseguenza del riarmo non sarà che quella ci alimentare rabbia, estremismi e nuova conflittualità (anche) all’interno dei nostri confini.

Al contrario, la lotta alle crescenti disuguaglianze economiche è la strada maestra per portare nuova fiducia (e nuove risorse per investimenti sullo sviluppo sostenibile) nelle nostre società sempre più polarizzate. «C'è la convinzione che possiamo raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile senza cambiare il modo in cui vivono le persone ricche. Ma questo non funziona né matematicamente né eticamente», spiegava pochi giorni fa la professoressa Joyeeta Gupta all’Onu.

L’ultimo World inequality report, approfondito documento a cui hanno lavorato 200 studiosi multidisciplinari di tutto il mondo, mostra infatti che oggi lo 0,001% della popolazione mondiale è tre volte più ricco della metà dell’umanità. Una sproporzione che non può essere accettata, anche sotto il profilo climatico dato che l'1% più ricco degli individui rappresenta il 41% delle emissioni globali associate alla proprietà del capitale privato.

Redazione Greenreport

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