
Nonostante norme sempre più serve, l’ecomafia censita da Legambiente continua a crescere

Nel 2024 viene superato il muro dei 40mila reati ambientali, arrivando a quota 40.590 (+14,4% rispetto al 2023); aumentano anche le persone denunciate, 37.186 (+7,8%), così come il giro d’affari (9,3 miliardi di euro, +0,5 miliardi), le inchieste sui fenomeni corruttivi (88 dal 1° maggio 2024 al 30 aprile 2025, +17,3%) e le persone denunciate (862, +72,4%).
È quanto emerge dal rapporto di Legambiente “Ecomafia 2025. I numeri e le storie delle illegalità ambientali in Italia” (Edizioni Ambiente), presentato oggi a Roma insieme ad un pacchetto di 12 proposte per contrastare le illegalità ambientali.
Secondo i dati elaborati dall’associazione ambientalista e forniti dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, nel 2024 in Italia il 42,6% dei reati ambientali si concentra nelle 4 regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). Quinto posto per il Lazio, che supera la Toscana, dove si registra comunque un aumento degli illeciti penali dell’11,6%.
Il maggior numero di reati si riscontra, a livello nazionale, nella filiera del cemento (dall’abusivismo edilizio alla cave illegali fino ai reati connessi agli appalti per opere pubbliche) con 13.621 illeciti accertati nel 2024, +4,7% rispetto al 2023, pari al 33,6% del totale. Seguiti dai reati nel ciclo dei rifiuti ben 11.166, +19,9%, e quelli contro gli animali con 7.222 illeciti penali (+9,7%). Da segnalare l’impennata dei reati contro il patrimonio culturale (dalla ricettazione ai reati in danno del paesaggio, dagli scavi clandestini alle contraffazioni di opere): sono 2.956, + 23,4% rispetto al 2023. Per quanto riguarda le filiere illecite nel settore agroalimentare, a fronte di una leggera diminuzione dei controlli (-2,7%) si registra un aumento del numero di reati e illeciti amministrativi (+2,9%), nonché degli arresti (+11,3%). A completare il quadro dell’illegalità ambientale del 2024 è la crescita degli illeciti amministrativi, 69.949 (+9,4%), equivalenti a circa 191,6 illeciti al giorno, 7,9 ogni ora. Per quanto riguarda i clan, dal 1995 al 2024 salgano a 389 quelli censiti da Legambiente.
«Nella lotta alla criminalità ambientale – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – l’Italia deve accelerare il passo e può farlo con l’approvazione di una riforma fondamentale molto attesa, ossia il recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente entro il 21 maggio 2026. Solo con il completamento di quella riforma di civiltà che abbiamo inaugurato nel 2015 con l’approvazione della legge sugli ecoreati si otterrà quel livello di sicurezza nazionale che invochiamo da più di 30 anni».
L’esperienza empirica, documentata di anno in anno proprio da Legambiente con l’incremento dei reati ambientali nonostante le pene più severe messe in campo, mostra però che la repressione non basta. Eppure anche nelle 12 proposte avanzate oggi dal Cigno verde – che riportiamo a coda dell’articolo in via integrale – meno della metà (5) non s’incentra sulla richiesta di nuove fattispecie di reato o sull’inasprimento delle pene.
Come documenta lo stesso rapporto legambientino sull’ecomafia, nella sua analisi trentennale, i reati ambientali censiti nel 2009 erano poco meno di 30mila, e anno dopo anno sono sempre oscillati attorno a questa soglia, con picchi attorno ai 35mila/anno. È accaduto nel 2011, nel 2012, nel 2019, nel 2020 e infine nel corso del 2023, quando l’asticella è arrivata a quota 35.487 (+15,6% sul 2022), per superare nel 2024 quota 40mila.
In proposito merita una lettura – e meriterebbe anche un aggiornamento – il report Istat pubblicato nel 2018 I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure: già con l’introduzione del Testo unico ambientale nel 2006 i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge 68/2015 sugli ecoreati, dati riferiti al 2016).
Che fare dunque? L’esperienza empirica mostra che, almeno in alcuni settori colpiti dall’ecomafia – a partire dal ciclo di gestione rifiuti – limitarsi semplicemente a varare leggi su leggi con l’intento di stringere il cappio normativo contro gli ecocriminali non basta.
Anzi, senza un riordino della legislazione in materia che sappia semplificare garantendo la certezza del diritto, oltre a quella della pena per chi sgarra, la bulimia normativa rischia di confondere ancora più le acque con un risultato respingente nei confronti di amministratori e imprenditori onesti, a tutto vantaggio di mafie e criminali veri.
Nel merito il ministro dell’Ambiente Pichetto ha promesso più volte, nel corso degli ultimi anni, la volontà di riformare il Codice dell’ambiente. Una riforma che però ancora non si vede, e neanche la preliminare apertura verso esperti e società civile per gli approfondimenti del caso: il ministro ha nominato la Commissione interministeriale per la revisione del Codice ambientale nel febbraio 2024, ma da allora non se ne è più avuta notizia.
