La democrazia energetica avanza piano: perché le Comunità energetiche crescono al rallentatore
A che punto è lo sviluppo delle fonti rinnovabili e delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) in Italia? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Milano, ingegnere edile-architetto e urbanista, Segretario generale del network internazionale di ispirazione cristiana Greenaccord Ets. Già assegnista di ricerca Ispra, Milano è esperto di adattamento urbano ai cambiamenti climatici e pianificazione energetica e autore del primo libro in assoluto in Italia sulle Cer alla luce del rinnovato quadro normativo comunitario e nazionale di riferimento, intervenendo da consulente per Comuni, imprese, parrocchie e realtà del terzo settore
Intervista
Il Pnrr ha finanziato lo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) con oltre 2,2 miliardi di euro confidando di favorire l’installazione di almeno 1,7 GW, ma a fine primavera la potenza installata era solo all’1% dell’atteso (guardando ai dati Gse sulle domande di contributo si arriva invece a 440 MW). A che punto siamo adesso, e dove pensa potremo realisticamente arrivare dato che la conclusione delle opere Pnrr è al 30 giugno 2026?
«Secondo i dati più recenti elaborati dal Gse, nel nostro Paese sono state superate le 2000 configurazioni, tra autoconsumo diffuso e comunità energetiche, per una potenza nominale appena inferiore ai 440 – 480 MW. Negli ultimi mesi, il ritmo di penetrazione di queste esperienze di democrazia energetica sembra essere più alto, ma è indubbio che permangano criticità strutturali alla nascita e alla diffusione delle comunità energetiche – di natura giuridica-amministrativa ed economica – tali da poter solo auspicare il raggiungimento degli obiettivi previsti dal decreto Cacer. Il potenziale delle Cer, tuttavia, è enorme e l’obiettivo massimo di 5 GW potrebbe essere superato se realtà essenziali come Pa e imprese, oggi attori non-protagonisti della transizione energetica, entrassero per davvero nel campo della decarbonizzazione di prossimità».
Quali ritiene siano i principali colli di bottiglia da superare per favorire lo sviluppo delle Cer?
«Sono diversi. Indubbiamente gli aspetti tecnici non possono essere nascosti, perché servono competenze ibride e multidisciplinari che, tra mix tecnologici e reti intelligenti, orientino il processo avviato trasformando ogni territorio in un hub di innovazione ambientale, ma poi servirebbe che il corrispettivo economico riconosciuto dall’incentivo statale per l’autoconsumo fosse anche solo leggermente più alto per rendere la sperimentazione più attrattiva, anche oltre ciò che prevede la misura del Pnrr. La comunicazione e la sensibilizzazione, infine, sono essenziali: se gli aspetti della partecipazione inclusiva non fossero banalizzati o affidati a soggetti poco qualificati, nonché se si socializzassero i saperi con la stessa intensità con cui si frequentano i social media, le comunità energetiche sarebbero più diffuse e più grandi e più generative nei loro benefici ecosistemici».
Sta crescendo l’urgenza di trovare una formula tecnico/giuridica capace di far compartecipare comunità ed enti locali ai benefici indotti da questi impianti utility scale: quale ritiene possano essere le migliori? Comuni e Regioni – anche tramite loro partecipate nei servizi pubblici locali – potrebbero attivare Ppa per acquistare energia a prezzi convenienti e poi rivenderla alle utenze sul loro territorio?
«Io credo che la “ricerca del tesoro” non debba avere come obiettivo l’individuazione dell’unica combinazione possibile, perché il successo delle Comunità energetiche nasce dalle specificità di ogni territorio e comunità che decide di concorrere al processo di democratizzazione dell’energia e, quindi, non esiste un modello vincente per definizione. Bisogna avere il coraggio di sperimentare sulla base degli obiettivi anche sociali che si intende raggiungere nel breve termine e dalle ambizioni che si vorrebbero rispettare nel medio-lungo periodo. Anche perché senza sostenibilità economica non potrà esserci sostenibilità sociale. È indubbio, tuttavia, che un partneriato misto tra privato e realtà del terzo settore il modello della Fondazione di Partecipazione sia quello più efficace, come sarebbe opportuno per esperienze piccolissime, almeno nella fase iniziale, utilizzare il modello dell’associazione di promozione sociale che non crei molti vincoli strutturali. Ove intervenissero enti pubblici come i Comuni, infine, la possibilità rappresentata dai Cfd o dai Ppa non sarebbe assolutamente da scartare perché si favorire la costruzione di ecosistemi relazionali virtuosi in grado di assicurare una redistribuzione economica per le utenze più fragili e vulnerabili».
Quali sono ad oggi le possibili “misure di compensazione” ambientali e territoriali previste dalla normativa nazionale a favore dei Comuni, in caso di installazioni di impianti rinnovabili – come eolico e fotovoltaico – sul loro territorio di competenza?
«Per impianti di taglia industriale, un po' come è successo nei decenni scorsi in Basilicata con la depredazione da petrolio, sono e sarebbero previsti delle royalty attraverso cui compensare a fini sociali gli eventuali guasti provocati da una disseminazione impiantistica talvolta scellerata e dissennata che provoca enormi tensioni sociali. Queste misure, però, ad oggi il più delle volte sono solo su carta e in ogni caso si restituisce ai territori, in modo particolare aree interne e montane, nient’altro che le briciole. Come conferma il caos dei mesi scorsi delle aree idonee e più recentemente delle zone di accelerazione, oggi le Regioni sono in grandissima difficoltà perché non hanno le risorse tecniche necessarie e i provvedimenti aggiornati per una pianificazione energetica ordinata e assennata che permetta di accelerare la diffusione delle rinnovabili, il revamping degli impianti esistenti e la strategica geolocalizzazione degli accumuli. Una ulteriore ed evoluta compensazione sarebbe quella di realizzare e potenziare più rapidamente le reti, integrate dalle tecnologie digitali abilitanti, perché il futuro dell’energia e quindi dei territori è nelle smart grid e nelle zone di mercato energeticamente indipendenti, tali da risultare competitive e attrattive per investitori e imprese».
Le richieste di connessione alla rete Terna hanno toccato 346 GW al 31 luglio 2025: cosa possiamo aspettarci dal prossimo decreto Energia cui è al lavoro il Governo per superare la “saturazione virtuale” delle connessioni Terna, che contribuisce a frenare lo sviluppo degli impianti rinnovabili?
«Tutti i provvedimenti hanno un senso se sono utili e risolvono i problemi più gravi che danneggiano o rallentano lo sviluppo socio-economico del Paese. In Italia, spesso, abbiamo provvedimenti che peggiorano la situazione. Per gli investitori, anche internazionali, la lentezza burocratica e l’incertezza amministrativa rappresentano, dunque, un costo enorme e non più nascosto, il costo dell’inazione che un Paese con un potenziale straordinario come l’Italia non si può più permettere. Ci sono vincoli, però, non solo tecnici, ma spesso anche culturali, perché la resistenza al cambiamento genera disastri diffusi di cui non tutti, non ovunque, si rendono ancora conto.
Il nostro Paese, anche per il lavoro eccellente svolto da Terna negli ultimi anni – si pensi alla gestione delle infrastrutture di alta tensione e al dispacciamento governato con tecnologie integrate di altissimo livello, ma anche agli investimenti in connessioni strategiche come il Tyrrhenian Link – rappresenta, tuttavia, un approdo naturale per chi vuole abbracciare la decarbonizzazione, sia per le particolari e vantaggiose condizioni geografiche del Mezzogiorno, sia perché l’Italia – pur essendo un delicato hotspot dei cambiamenti climatici – è la porta per le regioni del Nord-Africa, ossia il luogo ideale in cui nel prossimo futuro si progetteranno e realizzeranno interventi da diverse centinaia di MW che favoriranno entrambe le sponde del Mediterraneo».
Da inizio anno a fine agosto, la Commissione Pnrr-Pniec ha autorizzato oltre 10 GW di impianti rinnovabili, eppure quelli finora effettivamente installati nel Paese si fermano ad appena 4 GW. In questo caso quali sono i principali colli di bottiglia normativi e autorizzatori da superare?
«Da luglio 2024, non abbiamo notizie del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) né sono stati più forniti aggiornamenti sul Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), oggi nient’altro che un documento approvato per decreto e abbandonato in chissà quale cassetto ministeriale. Le commissioni Via-Vas, pur fondamentali, svolgono il loro lavoro in tempi ancora eccessivamente lunghi, oltre la media europea, con il rischio di approvare impianti basati su tecnologie potenzialmente già superate o prossime ad essere superate. L’eccessiva frammentazione normativa ed istituzionale, con Ministeri e uffici che tra loro non dialogano e non cooperano, creano, pertanto, una condizione particolarmente odiosa: mentre Spagna e Portogallo stanno aprendo le strade dell’avvenire con decine e decine di nuovi impianti utility-scale, il nostro Paese, già in notevole ritardo sulla stragrande maggioranza degli obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030, è ben lontana, anche secondo Elettricità Futura, dagli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e di installazione delle rinnovabili entro la fine del decennio.
Dovremmo procedere con una media di 10-12 Gw annui fino al 2030 e invece ne installiamo, a malapena, quasi la metà. Un contributo notevole, oltre che dalle soluzioni galleggianti e offshore, potrebbe arrivare dalla geotermia, una fonte rinnovabile che contribuisce solo per il 2% alla copertura della domanda nazionale di energia elettrica, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi a più elevato potenziale geotermico in Europa: se valorizzassimo anche solo il 2% del potenziale presente in tutto il territorio italiano nei primi 5 km di profondità, la geotermia potrebbe soddisfare il 10% della domanda di elettricità in Italia al 2050. Per il bene del Paese, ma soprattutto delle prossime generazioni, confido che prevalga sempre l’etica pubblica della corresponsabilità e che la via delle rinnovabili diventi per davvero, nei dettami della visione dell’ecologia integrale della Laudato Si di Papa Francesco, la via per l’indipendenza energetica del Paese e dei territori, per la prosperità inclusiva delle comunità e soprattutto per una pace sincera e duratura».