Alla Cop30 di Belém ogni decimo di grado conta, mentre in Italia il clima segna già oltre +3°C
Dieci anni fa il mondo tirava un sospiro di sollievo, alla firma dell’Accordo di Parigi su clima che anche l’Italia si è impegnata a mantenere: per evitare impatti climatici catastrofici quanto irreversibili sulla scala dei tempi umani, l’impegno sancito dalla comunità internazionale è quello di contenere il riscaldamento globale – guidato in primis dall’impiego dei combustibili fossili – entro +1,5-2°C rispetto all’epoca preindustriale.
La Conferenza delle parti (Cop30) che si apre oggi a Belém, la prima in Amazzonia, è il trentesimo incontro annuale dei Paesi firmatari della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc); a un decennio da Parigi, è necessario un bagno di realtà riconoscendo che siamo molto lontani dalla traiettoria di sviluppo sostenibile tracciata dall’Accordo, ma sarebbe al contempo esiziale non riconoscere gli enormi progressi inanellati nel mentre.
Il rapporto dell'Unep Emissions Gap Report 2025: Off Target rileva che le proiezioni sul riscaldamento globale nel corso di questo secolo, basate sulla piena attuazione dei Contributi nazionali determinati (Ndc), sono ora di 2,3-2,5°C, rispetto ai 2,6-2,8°C del rapporto dello scorso anno. L'attuazione delle sole politiche attuali porterebbe a un riscaldamento di 2,8°C, rispetto ai 3,1°C dello scorso anno. E se da un lato le emissioni globali sono aumentate dell’1,8% nell’ultimo decennio, in quello precedente – come osservano dal think tank climatico Ecco – l’aumento si attestava attorno al +18,4%.
Siamo ancora ampiamente al di là del limite di sicurezza indicato dalla scienza – arrivare a +2,8°C significa rendere vaste regioni inabitabili a causa di inondazioni, caldo estremo e collasso degli ecosistemi – ma di anno in anno ci stiamo avvicinando.
«Gli scienziati ci dicono che un superamento temporaneo di 1,5 gradi è ormai inevitabile, al più tardi a partire dai primi anni 2030. E il percorso verso un futuro vivibile diventa ogni giorno più ripido», ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres nel suo messaggio sul rapporto: «Ma questo non è un motivo per arrendersi. È un motivo per fare un passo avanti e accelerare».
In che modo? Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha dato il via al vertice dei Capi di Stato e di Governo della Cop30 auspicando la creazione di una roadmap globale con tempistiche precise per porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili e rispettare gli impegni internazionali di triplicare la capacità delle energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030.
Anche su questo fronte, non stiamo avanzando alla velocità necessaria ma i progressi sono concreti. Alla Cop28 di Dubai, nel dicembre 2023, i Paesi hanno concordato di abbandonare i combustibili fossili "in modo giusto, ordinato ed equo" e di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030; il ritmo di installazione attuale porterebbe il mondo a non raggiungere il target ma andarci molto vicino, ovvero installare 2,6 volte i livelli del 2022. Significa che triplicare la potenza rinnovabile installata è a portata di mano.
«Ogni anno – rincara la dose Lula – potrebbero morire più di 250.000 persone e il Pil globale potrebbe ridursi fino al 30%. Ecco perché la Cop30 sarà la Cop della verità. È tempo di prendere sul serio gli avvertimenti della scienza. È tempo di affrontare la realtà e decidere se avremo il coraggio e la determinazione necessari per trasformarla».
Si tratta di una realtà che contrasta fortemente con la retorica contro il Green deal che soffia dall’estrema destra, da Donald Trump a scendere, che sta influenzando (ahinoi) con efficacia il dibattito politico nazionale ed europeo. Smantellare le politiche sulla green economy rappresenta infatti una risposta alle pressioni dell’estrema destra, che dopo i migranti ha individuato negli ambientalisti il nuovo nemico antropologico; del resto è più facile rispondere alla legittima frustrazione dei cittadini – che in Italia hanno un salario reale oggi più basso del 1990 – cavalcando le paure verso il necessario cambiamento del modello economico dominante, anziché andare a trovare le risorse lì dove sono disponibili (i 3.600 europei più ricchi hanno la stessa ricchezza dei 181 milioni più poveri).
Ma nonostante gli strali del Governo Meloni, perseguire la transizione ecologica è nel primario interesse del nostro Paese. Come chiave di competitività e innovazione, per ridare fiato a filiere in affanno dall’automotive all’edilizia – entro il 2029 serviranno all’Italia 4 milioni di lavoratori verdi – ma anche per proteggerci dai sempre più devastanti impatti della crisi climatica in corso, che incrementa l’impatto e la frequenza degli eventi meteo estremi.
Ad oggi il surriscaldamento del clima italiano segna già +3.22°C rispetto alla media del periodo 1850-1900 (preso dall'ultimo Ipcc come riferimento pre-industriale), e i costi del non fare surclassano gli investimenti necessari alla transizione: ad esempio, il pieno raggiungimento degli obiettivi del Pniec genererebbe benefici economici complessivi superiori a 162 miliardi di euro a fronte di un investimento aggiuntivo di 24 miliardi, mentre non installare i necessari impianti per le fonti rinnovabili costerebbe all’Italia 137 miliardi di euro e la perdita potenziale di oltre 340 mila posti di lavoro.