Dopo due anni di crescita, in Italia meno rinnovabili installate (-10,6%) e meno energia (-2,5%)
Tra le grandi economie europee, l’Italia è oggi quella che meno si affida alle fonti rinnovabili: meno della media Ue, meno della nuclearissima Francia, meno della Germania, meno della Spagna – il cui Pil cresce 4 volte più velocemente del nostro – che può vantare i prezzi elettrici tra i più bassi del Vecchio continente.
I dati messi oggi in fila dalla prima giornata del Forum QualEnergia, che continuerà domani a Roma con la consueta organizzazione di Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, mostrano che il 2025 per l’Italia è un anno dal segno meno sul fronte della transizione energetica, che rallenta bruscamente: nei primi 10 mesi dell’anno le nuove installazioni si fermano a 5.400 MW (di cui 4.813 MW da solare fotovoltaico e 444 MW di eolico), registrando -10,6% sullo stesso periodo dell’anno precedente, mentre tra 2023 e 2024 erano cresciute del 36,3% e l’anno prima dell’88,3%. Stavolta cala anche l’energia elettrica prodotta (-2,5%), soprattutto a causa del crollo nella produzione idroelettrica (-22,8%), su cui ancora pesa il nodo concessioni.
Unica buona notizia del 2025 riguarda il solare fotovoltaico: anche se registra una contrazione sia di potenza installata (-12,2%) sia del numero di impianti (-27%), lascia ben sperare l’aumento della produzione, rispetto al 2024, del +24,3% segno che gli impianti fotovoltaici installati sono mediamente più grandi ed efficienti.
«Per abbassare le bollette, aiutare famiglie e imprese e contrastare la crisi climatica – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – l’Italia deve investire con coraggio sulle rinnovabili che per altro da gennaio a ottobre 2025 hanno coperto sino ad ora il 42,4% del fabbisogno elettrico nazionale, con un +1% rispetto al 2024. Ad oggi però burocrazia, iter farraginosi, ma anche sindromi Nimby, non nel mio giardino, e Nimto, non nel mio mandato elettorale, frenano lo sviluppo delle fonti pulite, delle reti e degli accumuli. Ciò è inammissibile, l’Italia è il Paese del sole e del vento, ed è fondamentale investire sulle rinnovabili, a partire dai grandi impianti, senza i quali non abbasseremo i costi energetici e non ci libereremo dalla dipendenza dall’estero. Su questo chiediamo al Governo politiche coraggiose, e leggi che facilitino la realizzazione degli impianti, senza andarli a penalizzare, come invece stanno facendo il decreto Agricoltura, che dovrebbe essere modificato con urgenza, o le nuove norme sulle Aree idonee» introdotte dal decreto Transizione 5.0, come denuncia l’ampio mondo che spazia dalle associazioni ambientaliste alle imprese di settore.
Un approccio che fa male al clima tanto quanto al portafogli. Basti osservare che i nuovi “incentivi” – o meglio i meccanismi di stabilizzazione dei prezzi nel lungo periodo – appena definiti dal decreto Fer X sulle fonti rinnovabili prevedono un prezzo medio da 72,851 €/MWh per l’eolico e 56,825 €/MWh per il fotovoltaico, quando il prezzo nazionale all’ingrosso dell’elettricità (Pun Index Gme) veleggia a 111,04 €/MWh. Imprese e famiglie con le rinnovabili risparmiano, ma il Governo Meloni non le vuole. E a coda molte regioni, che approfittano del ping pong normativo in corso per evitare scelte divisive contro i pochi (ma rumorosi) contrari agli impianti per motivi “paesaggistici” o di altra natura; in merito, basti osservare che in Italia la Superficie agricola utilizzata (Sau) coperta da fotovoltaico non supera lo 0,15%, mentre per raggiungere gli obiettivi al 2030 non si supererebbe lo 0,5-1%.
Risultato: il Governo non riesce a perseguire neanche i timidi obiettivi che si è dato al 2030 col decreto Aree idonee. L’Osservatorio regionale di Legambiente mostra che tra gennaio 2021 e ottobre 2025 sono appena 23.099 i MW di nuova potenza installata da fonti rinnovabili su un totale di 80.001 MW richiesto entro il 2030, dunque ad oggi l’Italia ha raggiunto solo il 28,9% dell’obiettivo finale fissato per il 2030.
Dodici le regioni che a ottobre 2025 non hanno ancora raggiunto la loro quota. Valle d’Aosta e Molise restano sotto al 15% del proprio target, mentre Calabria, Umbria, Sardegna, Toscana e Sicilia non superano il 20%. Ma ce ne sono anche di virtuose. Il Lazio risulta la migliore regione ad aver conseguito ad ottobre 2025 il 54,5%, ossia la metà del suo obiettivo; tra le altre Regioni in anticipo sul target di fine 2025 figurano la Lombardia (+550 MW), il Piemonte (+285 MW), il Friuli-Venezia Giulia (+287 MW), il Veneto (+253 MW), il Trentino-Alto Adige (+84 MW) e la Campania (+20MW).
Che fare? Legambiente e Kyoto club indirizzano un pacchetto di proposte al Governo Meloni, tra le quali spiccano la necessità di completare al più presto l’organico della Commissione Pnrr-Pniec del Mase, rafforzando anche il personale degli uffici regionali e comunali preposti alle autorizzazioni; avviare processi partecipativi nei territori coinvolgendo le comunità locali per far in modo che gli impianti siano ben integrati nei territori e fatti subito e bene. Occorre accelerare la transizione verso il prezzo zonale formato in base al sistema energetico delle varie aree geografiche, eliminando il corrispettivo aggiuntivo stabilito da Arera che unifica i prezzi a livello nazionale; ma anche stimolare e aiutare le imprese, a partire da quelle del nord, verso contratti Ppa con impianti a fonti rinnovabili al fine di ridurre i prezzi. A questo «va aggiunto lo scorporo nel prezzo finale tra gas e rinnovabili», per il quale la soluzione più praticabile è semplicemente quella spagnola, ovvero aumentare le rinnovabili installate per spiazzare i combustibili fossili.
Fondamentale, inoltre, sviluppare «una campagna informativa e di sensibilizzazione in tutti i territori che coinvolga la popolazione, ma anche le Amministrazioni locali sui benefici degli impianti a fonti rinnovabili, degli accumuli e dello sviluppo delle reti». Peccato che il Governo Meloni stia facendo tutt’altro: nel 2026 quadruplicherà a 6 milioni di euro la spesa pubblica per finanziare l’informazione pro-nucleare, a fronte di zero euro destinati alla comunicazione su rinnovabili ed efficienza energetica.
Inoltre, è fondamentale che le aree oggi definite idonee (ex cave, fasce lungo le autostrade, aree in cui esistono già impianti, etc.) siano aree di accelerazione. Altro decreto da modificare, è quello Agricoltura, in particolare va modificato l’articolo 5 che vieta il fotovoltaico a terra anche dove potrebbe essere utilizzato, come i terreni inquinati o che non sono mai stati produttivi. A livello normativo occorre approvare al più presto una legge contro il consumo di suolo che il Paese attende da troppi anni: è inaccettabile, infatti, che nuovi investimenti su poli logistici, data center, autostrade, aree residenziali o produttive continuino, indisturbati, a consumare suolo agricolo, che, contrariamente a quanto succederebbe coi pannelli fotovoltaici, che usano e non consumano i terreni agricoli, perderemmo in modo permanente.